Amadee 18, simulazione di vita marziana nel deserto dell’Oman

Il futuro è qui e ora. Bel paradosso, su un pianeta in cui la gente ufficialmente ancora si scanna nel nome di guerre sante, per non parlare dei veli culturali e mentali, che dovrebbero essere ascritti al folclore e al puro e semplice ricordo delle tradizioni. Ma una buona fetta di mondo va da un’altra parte, avanzando nell’arco evolutivo della società umana con una forte proiezione pionieristica, supportata dagli enormi progressi della ricerca scientifica e dell’innovazione tecnologica. Non dimentichiamoci delle origini, ma guardiamo la strada davanti a noi, se non vogliamo sbattere contro un muro e ristagnare sugli sbagli del passato.

Sulle note di Life on Mars del compianto David Bowie, l’imprenditore miliardario Elon Musk, fondatore della Space Exploration Technologies Corporation, lancia con successo, dalle rampe di Cape Canaveral, in Florida, il razzo Falcon “Heavy” (“pesante”, poiché super potenziato), con destinazione il pianeta rosso. Una sorta di missile cargo capace di trasportare ingenti quantità di attrezzature e di sbarcare, un giorno, equipaggi umani sulla superficie marziana. Roba da matti. Anzi, da visionari. D’altra parte, il presente ce lo disegnamo osando nel futuro.

Ne frattempo, nell’alveo del sogno di Musk di colonizzare Marte con un milione di persone, sulla Terra si inaugura Amadee 18, una missione di quattro settimane che ha come sito operativo il deserto dell’Oman e come obiettivo una simulazione di vita marziana, testata da 5 astronauti. Amadee 18, programmata dall’Austrian Space Forum e giunta alla dodicesima edizione, punta allo studio e all’omologazione degli equipaggiamenti impiegabili in future visite umane su Marte, alle tecniche di individuazione e acquisizione di informazioni su eventuali forme di vita, e ha in agenda la conduzione di 19 esperimenti su temi relativi a geoscienze, robotica, ingegneria, realtà virtuale, adattamento umano e astrobiologia.

Particolarmente interessante è capire come organizzare la vita quotidiana nel deserto del Dhofar, selezionato per le somiglianti caratteristiche strutturali sedimentarie e morfologiche, risalenti al Paleocene ed Eocene, col suolo marziano, ovvero sabbia alternata a rocce con notevole variabilità d’inclinazione. E qui, l’operazione riceve anche un contributo italiano: forse perché siamo un popolo geneticamente predisposto al buon cibo, l’Agenzia Spaziale Italiana (ASI), in partnership con ENEA e l’Università di Milano, ha realizzato HortExtreme, un orto consistente in un sistema di pochi metri quadrati, in cui crescono quattro specie di microverdure – fra cui cavolo rosso e radicchio – scelte perché esauriscono il loro ciclo vitale in un paio di settimane, e assicurano agli astronauti un sostegno nutrizionale di qualità, grazie a un sistema di coltivazione idroponico, cioè fuori dal terreno con riciclo dell’acqua e privo di pesticidi e agrofarmaci. HortExtreme è, dunque, in grado di sviluppare sistemi biorigenerativi ed ecosistemi chiusi per la produzione in situ delle risorse indispensabili alle missioni interplanetarie. A immaginare lo scenario, viene in mente il film di Ridley Scott The Martian, dove il naufrago dello spazio, interpretato dall’attore statunitense Matt Damon, deve affrontare il problema della sopravvivenza sul pianeta avvalendosi, oltre che dell’inventiva e del coraggio, soprattutto delle proprie intuizioni e cognizioni scientifiche di ingegneria e botanica.

Da Amadee 18 potrebbero giungere risposte e risoluzioni in tema di sostenibilità ambientale ed efficienza energetica, trasferibili anche in ambito terrestre: progettazione di nuovi moduli abitativi resistenti alle condizioni più estreme, serre gonfiabili con sensoristica avanzata per creare l’ambiente più favorevole possibile alla vita vegetale e tanto altro.

Questa è la frontiera del terzo millennio: l’estensione dell’orizzonte conoscitivo tramite l’esplorazione e la conquista dello spazio. Prepariamoci a varcare altre colonne d’Ercole, verso la scoperta di nuovi mondi.

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