Cronache dai Palazzi

Una manovra di Bilancio che attende correzioni e vari aggiustamenti. La nuova legge di Bilancio non ha ancora varcato il portone di Palazzo Madama ma già piovono diverse polemiche non solo da parte delle opposizioni ma anche della stessa maggioranza, a cominciare dai centristi di Ap.

I ministri Alfano e Lorenzin hanno dato il loro voto al testo presentato in Consiglio dei ministri ma i capigruppo Bianconi e Lupi giudicano la manovra ‘invotabile’, soprattutto se non verranno considerate delle misure pro famiglia a partire dal bonus bebé che è stato eliminato, e del quale ne chiedono il reinserimento anche diciassette senatori cattolici del Pd. Richieste anche per allargare la rottamazione delle cartelle esattoriali o per conferire allo spesometro un carattere annuale. Si tratta di diversi emendamenti bipartisan che molto probabilmente verranno confermati dalla commissione Bilancio senza dover arrivare in Aula.

Martedì prossimo il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, riunirà le due commissioni Bilancio di Camera e Senato per sciogliere eventuali nodi a proposito della manovra e, nello stesso giorno, anche la Commissione europea dovrà esprimersi a proposito delle osservazioni sollevate dall’Italia, per poi formulare un giudizio più o meno definitivo a fine mese sul testo approvato da Palazzo Madama. L’aumento del debito rappresenta l’ostacolo più difficile da superare e, proprio per questo motivo, il governo italiano mira a salvaguardare la manovra difendendola dagli assalti elettorali che in parte tentano di modificarla.

Il “sentiero stretto” marcato dal ministro Padoan rischia in pratica di allargarsi a causa delle pressioni dei diversi partiti, soprattutto a ridosso delle elezioni siciliane dove la vittoria della maggioranza non è scontata. La manovra inoltre, nonostante le promesse dei primi tempi, appare tutt’altro che snella dato che conta ben 120 articoli.

In Commissione l’accordo a favore della maggioranza potrebbe riuscire solo con l’apporto di Ala anche se a Palazzo Madama il Pd conta anche di riavvicinarsi agli scissionisti di Mdp, che però non mancano di reclamare “segnali” a proposito di pensioni, superticket (una graduale riduzione) e jobs act. Tutto ciò in cambio del voto a favore della legge di Bilancio, favorendo così una chiusura più o meno pacifica della legislatura come auspicato dal presidente della Repubblica e dal premier Gentiloni. Ovviamente un eventuale voto a favore della legge di Bilancio da parte di Mdp non rappresenta una garanzia per una futura alleanza elettorale o anche post elezioni.

Un eventuale innalzamento dell’età pensionabile, da 66 anni e sette mesi a 67 anni, è la questione più spinosa degli ultimi giorni. Il presidente della Commissione Lavoro della Camera, Cesare Damiano, afferma che “una riflessione va fatta anche perché l’Inps continua a fornire dati che alla prova risultano incompleti e inesatti”, tutto ciò riferendosi ai numeri delle “salvaguardie” utili a colmare i gap della Legge Fornero. Anche a proposito dell’innalzamento delle aspettative i numeri potrebbero non quadrare.

Il governo Gentiloni mira comunque a raggiungere un accordo con i sindacati Cgil Cisl e Uil nell’arco dei prossimi dieci giorni. Il sistema di adeguamento dell’età pensionabile potrebbe tradursi in un emendamento stoppando così il tentativo del Partito democratico di rinviare a giugno la decisione se aumentare l’età a 67 anni. Per il ministro dell’Economia l’adeguamento dell’età pensionabile alla speranza di vita (85, 7 anni) è indiscutibile e quindi la pensione di vecchiaia a partire da 67 anni nel 2019 sembra un traguardo ineliminabile. “Il primo principio – ha affermato Padoan – è che l’adeguamento rimane confermato ed è un pilastro del meccanismo previdenziale del nostro Paese”.

Per ammortizzare il colpo il governo ha pensato di preservare i lavoratori che svolgono le cosiddette attività ‘gravose’. Nello specifico sarebbero undici le categorie che continuerebbero ad andare in pensione a 66 anni e 7 mesi: maestre di asilo nido e scuola materna, infermieri e ostetriche che fanno i turni di notte, macchinisti, camionisti, gruisti, muratori, facchini, badanti di persone non autosufficienti, ed inoltre gli addetti alle pulizie, alla raccolta dei rifiuti e alla concia delle pelli. Gli emendamenti al decreto fiscale per il rinvio a giugno (termine entro il quale il governo dovrebbe decidere l’adeguamento dell’età pensionabile) della decisione finale riserverebbero al  prossimo governo (frutto delle prossime elezioni) la responsabilità dell’innalzamento dell’età pensionabile a 67 anni a partire dal 2019. Secondo la legge occorre comunque un decreto interministeriale, Lavoro-Economia,di adeguamento, che deve essere adottato almeno un anno prima, cioè entro il 31 dicembre 2017. Il cosiddetto decreto direttoriale è un atto dovuto e l’innalzamento dell’età pensionabile subisce comunque gli effetti della legge di Stabilità attualmente in discussione, attraverso la quale dover reperire anche le risorse necessarie all’operazione. Secondo alcune stime, decidere di stoppare l’aumento dell’età pensionabile avrebbe un costo pari a 1,2 miliardi di euro.

L’argomento dei “pensionandi”, infine, ben si presta ad un clima da campagna elettorale come quello attuale. In questo contesto il governo ha sfornato anche un piano B, che prevede l’Ape sociale per alcune categorie, ossia la pensione a 63 anni con un prestito pensionistico a carico dello Stato. In pratica una misura sperimentale in vigore solo per il 2017 e il 2018, che potrebbe essere estesa anche al 2019 rivedendo però alcuni meccanismi contribuitivi come è stato fatto per le donne con figli. Esisterebbe anche un piano C secondo il quale ai lavori cosiddetti “faticosi” potrebbero essere riservato il medesimo trattamento dei lavori cosiddetti “usuranti” (come quelli nelle cave e nelle miniere e con turni di notte tra mezzanotte e le cinque). Per i lavori “usuranti” già è in vigore, fino al 2026, la sospensione dell’adeguamento di pensionamento alle aspettative di vita. Per la Cgil un eventuale rinvio non serve, bensì è necessaria “una svolta vera” e posticipare la discussione al 2018, in pratica dopo le elezioni, potrebbe essere addirittura controproducente. Per la Cisl, invece, un’eventuale moratoria di sei mesi, congelando lo scatto, potrebbe rivelarsi utile per studiare meglio i meccanismi dell’operazione, individuando così attentamente le categorie anche sulla base dell’accordo stipulato con i sindacati. La Uil, a sua volta, sostiene  la necessità di congelare l’aumento dell’età pensionabile e non dimentica le future pensioni dei giovani.

“L’export è la chiave per rilanciare l’economia”, ha affermato in un altro contesto (sempre legato al lavoro) il premier italiano, Paolo Gentiloni, in visita in India e nei Paesi del Golfo per consolidare i rapporti commerciali con questi Paesi. Uno degli obiettivi fondamentali della missione è stato inoltre riallacciare i rapporti con New Delhi soprattutto dopo la vicenda dei due Marò. Il rafforzamento dell’interscambio commerciale con i Paesi dell’Arabia Saudita, mira invece a creare nuove opportunità per le aziende italiane, come previsto dal programma “Vision 2030”. Di fronte alle autorità indiane e ai leader dell’Arabia Saudita il presidente del Consiglio ha rimarcato “la solidità dell’economia italiana”.

“Visita storica” in India, come l’ha definita Gentiloni, dove l’Italia mancava da 10 anni. L’incontro tra i due premier, Gentiloni e l’indiano Modi, non ha assunto semplicemente un carattere diplomatico, bensì ha comportato la firma di ben 6 protocolli d’intesa tra i due Paesi: dalle infrastrutture all’agroalimentare, alle energie rinnovabili.

Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha infine firmato e quindi promulgato la nuova legge elettorale, per cui da marzo si andrà a votare con il Rosatellum bis, un mix di maggioritario (un terzo) e di proporzionale (due terzi). Il capo dello Stato non ha riscontrato alcun profilo di illegittimità costituzionale e ha firmato la riforma del sistema di voto senza sottoscrivere ulteriori osservazioni e senza alcuna nota di “accompagnamento”.

“L’obbligo della firma, il dovere istituzionale di farlo, qualunque opinione personale non conta”, ha sottolineato Sergio Mattarella. Nel provvedimento è inclusa anche la delega al governo per la strutturazione dei collegi uninominali e plurinominali.

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