Indipendenza, la lezione del Quebec

La questione nazionale del Quebec è stata a lungo oggetto di dibattito. In effetti, dalla nascita della Confederazione, nel 1867, il futuro politico del Quebec e il suo posto in seno al Canada suscitano numerose discussioni, non avendo i nazionalisti canadesi-francesi e i canadesi-inglesi la stessa idea di Canada. Negli anni emergono diversi progetti di indipendenza, anche se sarà solo a partire dagli anni ’60 che questa idea lascerà la sfera ristretta degli ambienti intellettuali.

Il primo gruppo contemporaneo a chiedere l’indipendenza del Quebec è l’Alleanza Laurenziana, fondata nel 1957 da Raymond Barbeau ispirato dagli scritti del giurista Wilfrid Morin. La prima vera formazione a mettere in primo piano mediatico la questione dell’indipendenza è il Rassemblement pour l’Indipéndence Nationale (RIN), movimento che diventa partito politico nel 1964. Il RIN milita per un Quebec indipendente e socialdemocratico. Per arrivare al loro obbiettivo, i “rinisti” lavorano sul terreno: organizzano conferenze pubbliche e manifestazioni, incontrano la popolazione e non respingono i gesti di disobbedienza civile. Alle elezioni del 1966 il RIN si presenta con 73 candidati. Nessuno verrà eletto, ma il partito raccoglie il 5,55% delle preferenze. Il RIN rappresenterà il nucleo del movimento indipendentista degli anni ’60. E’ intorno ad esso che gravita la maggioranza delle organizzazioni indipendentiste di quel decennio. Il più conosciuto dei gruppi di questo periodo rimane il Fronte di Liberazione del Quebec, nato nel 1963 e tristemente ricordato per la violenza delle sue azioni. Composto essenzialmente da giovani, le cellule del FLQ si attaccano ai simboli britannici e canadesi come gli edifici militari e i monumenti commemorativi. L’apice della violenza la raggiungono nel 1970 con il rapimento del diplomatico britannico James Richard Cross e il Ministro liberale Pierre Laporte. L’assassinio di Laporte porta ad una condanna unanime dell’organizzazione clandestina sia da parte dell’opinione pubblica sia da quella del movimento indipendentista. Nel 1973 il FLQ si scioglie.

La formazione del Movimento sulla Sovranità Associazione (MSA) nel 1967 favorisce la diffusione dell’idea indipendentista tra la popolazione e gli permette di imporsi sulla scena politica. L’entrata in scena negli ambienti indipendentisti di una figura carismatica come René Lévesque, uno dei principali ministri del Gabinetto liberale di Jean Lesage, rassicura gli indipendentisti più moderati. Il MSA propone l’indipendenza politica del Quebec seguita da un’associazione economica con il resto del Canada. Nel 1968 nasce il Parti Québécois (PQ), fusione del MSA con il Ralliement National (RN). Il RIN non riesce a trovare un punto di contatto e si scioglie. Comincia un periodo di unità per il movimento indipendentista. Ma i problemi arrivano presto. Il PQ prende la guida del Governo il 15 Novembre del 1976 e promette di indire un referendum sulla questione nazionale. Molti anglofoni del Quebec reagiscono male alla Carta della lingua francese del 1977. Qualcuno teme che l’elezione del 1976 non sia che la prima tappa per la nascita di un Quebec indipendente e francofono. E’ in questo contesto, al quale si aggiunge  la tangibile vivacità economica di Toronto rispetto a Montreal, che alcune imprese trasferiscono la loro sede amministrativa in Ontario e che molti anglofoni lasciano il Quebec per stabilirsi a Toronto. Il 20 Maggio del 1980 si tiene il referendum attraverso il quale il Governo chiede l’autorizzazione agli abitanti del Quebec di negoziare la sovranità-associazione con il resto del Canada. Si vedono contrapposti il campo del si voluto dal PQ, e il campo del no, raggruppamento federalista condotto da Claude Ryan, capo del Partito Liberale del Quebec e Jean Chretien, del Partito Liberale del Canada, allora Ministro della Giustizia del Governo federale. Vince con una debole maggioranza il partito del no (59,6%).

Dopo la vittoria del no, il Primo Ministro del Canada, Pierre-Elliot Trudeau annuncia una riforma della Confederazione canadese per mettere fine ai conflitti tra le due nazioni. Per i federalisti è la via per minare seriamente l’opzione indipendentista. René Lévesque, Primo Ministro del Québec, era assente quando i dirigenti delle altre provincie si incontrano per discutere la nuova Costituzione in una notte che qualcuno ha definito “notte dei lunghi coltelli”. Il Quebec non firmerà dunque quella Costituzione, anche se in seguito si tenterà di riparare con gli accordi del lago Meech (1987). E’ in questo clima di crisi che nasce il Blocco per il Québec, Partito federale formato da deputati liberali e conservatori dimissionari e disillusi dal federalismo. Il BQ lavora spesso in collaborazione con il PQ. Quest’alleanza è evidente nel 1995 quando viene indetto il secondo referendum sulla sovranità del Quebec.  Questa volta si chiede un’indipendenza completa. La lotta è serrata e vince il campo del no, ma con una seconda debole maggioranza (50,6%). Per una situazione che non si risolve, nell’Agosto del 1998, la Corte Suprema del Canada prendeva una delle decisioni più nevralgiche della sua esistenza, ossia il Rinvio sulla secessione del Quebec. In modo atipico, un tribunale di diritto interno avrebbe deliberato su parametri e paradigmi afferenti al diritto alla secessione di una delle proprie componenti. L’esercizio, dall’inizio, si annuncia complesso: il Governo indipendentista del Partito del Quebec rifiuta di partecipare alle audizioni del Rinvio, affermando la parzialità assunta dal tribunale. Si arriverà ad asserire, riprendendo la battuta dell’ex Primo Ministro Duplessis, che la “Corte Suprema è come la Torre di Pisa, pende sempre dallo stesso lato!”. Poca importanza ha la campagna di boicottaggio intrapresa allora, la decisione della Corte testimonierà, al contrario, avere la giusta sensibilità per le potenziali aspirazioni del Quebec. Con temerarietà, statuisce che l’espressione  di una chiara maggioranza di abitanti del Quebec in favore della secessione obbligherà il Governo federale e le altre provincie a negoziare quest’ultima. Impossibile, così, invocare il diritto e/o la forza al fine di reprimere la strada intrapresa.

Di conseguenza, e anche se assolutamente bandito da molti indipendentisti, il più alto tribunale canadese evita loro ironicamente una potenziale strada senza uscita in salsa catalana. Rifiutando, soprattutto, che la regola del diritto possa avere, in materia di secessione,precedenza sul principio democratico. Spiega infatti:” Un sistema politico deve avere una sua legittimità, cosa che esige, nella nostra cultura politica, l’interazione tra il primato della legge e del principio democratico. Il sistema deve poter riflettere le aspirazioni della popolazione (…) l’approvazione di chi è governato è un valore fondamentale nella nostra concezione di società libera e democratica”.  Dobbiamo asserire che la democrazia fa fede al di sopra di tutto? Che il Quebec potrebbe staccarsi senza pensare al quadro costituzionale canadese? No, al contrario. Essendo il diritto e la democrazia due principi in simbiosi, l’uno non può prevaricare sull’altro. La democrazia? Si, ma nel rispetto della regola del diritto. Il diritto? Si, ma se questo tiene conto della volontà popolare:un sano equilibrio. Questo approccio si trova agli antipodi di quello adottato dalla Costituzione spagnola e difeso oggi da Madrid. Intransigente, questo non lascia alcuna parcella di speranza alle velleità indipendentiste: il territorio spagnolo è indivisibile. Fine della discussione. In altri termini, l’insieme del comportamento attuale di Madrid (arresto dei leader catalani, sequestro delle schede elettorali, repressione delle manifestazioni) è, purtroppo, giuridicamente valido. Le aspirazioni indipendentiste catalane, anche se rimangono legittime, si vedono così represse in nome di una retorica tanto semplicistica quanto irremovibile: il diritto spagnolo, intransigente e freddo, figura qui come unico intendimento. Volontà democratica, favore popolare, pace e coesione sociale, simbiosi tra democrazia e Stato di diritto, sono tutti elementi che appaiono lontani. E se il Quebec non ha ancora trovato il suo spazio definitivo, ha tutti gli strumenti per trovare la sua collocazione. Ci riuscirà la Catalogna?

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