Estradizione Battisti, una lunga storia

Lontani echi dal passato. Una vicenda – sospesa nel tempo – di morti ammazzati, di un ex terrorista e della sua condanna in contumacia all’ergastolo, tuttora pendente in Italia e mai scontata. E’ la storia di Cesare Battisti, negli anni di piombo membro del gruppo eversivo Proletari Armati per il Comunismo (PAC), evaso nel 1981 dal carcere in cui sarebbe dovuto restare recluso a vita, poiché responsabile – per la giustizia italiana e con sentenza definitiva – di ben quattro omicidi e di altri reati connessi alla sua militanza alla lotta armata. Battisti, che ha sempre dichiarato la propria estraneità agli assassinii, riparò all’estero facendosi riconoscere lo status di rifugiato politico e, negli anni ’90, divenne un apprezzato scrittore di noir.

Dopo un primo periodo di latitanza in Messico e Francia, approdò in Brasile, dove fu arrestato per ingresso illegale con documenti falsi. Di anni, in galera, inclusi quelli sul suolo italiano, ne ha trascorsi sette. Nel dicembre 2010, il presidente brasiliano Lula rifiutò di estradarlo in Italia, concedendogli il diritto d’asilo e il visto permanente di soggiorno. Nel 2011, la nuova presidente del Brasile Dilma Rousseff, pur investendo della questione la Corte Costituzionale, negò definitivamente alle autorità italiane l’estradizione di Battisti, con la motivazione del pericolo di persecuzione in patria per le sue idee politiche.

Rimesso in libertà nel 2015, l’ex terrorista è stato tratto in arresto pochi giorni addietro, mentre cercava di oltrepassare il confine per entrare in Bolivia, in possesso di un corrispondente in valuta superiore ai 10.000 reais consentiti. A seguito della contestazione di reato di esportazione illegale di denaro all’estero, gli avvocati del sessantaduenne di Cisterna di Latina hanno presentato una richiesta di habeas corpus (giudizio basato sul complesso delle norme costituzionali a garanzia delle libertà personali del cittadino) alla Corte Suprema brasiliana, onde ottenerne la scarcerazione immediata e scongiurare il rischio di rimpatrio in Italia, istanza – peraltro – che politica e autorità giudiziarie nostrane non hanno tardato a recapitare all’attuale presidente Michel Temer.

Battisti, sposato con una cittadina brasiliana, dalla quale ha avuto un figlio minorenne da lui economicamente dipendente, elemento che ad oggi – per la legge brasiliana – ne impedisce l’estradizione, avrebbe commesso un reato di natura amministrativa, per cui la richiesta dei suoi legali è stata soddisfatta.

L’Italia non demorde e ci mette la faccia, sia per un atto di giustizia che per un fatto di tutela della propria immagine a livello internazionale: il governo Gentiloni insiste nel far notare che la richiesta d’estradizione, a suo tempo accolta dalla Corte Suprema, era stata successivamente sconfessata solo da una scelta politica dei presidenti Lula e Roussef e, come tale, andrebbe rivista.

Al presidente in carica Temer, che sembrerebbe assentire all’ingiustificabilità dell’asilo politico all’ex terrorista, passa, dunque, la patata bollente: dopo 14 anni di governi di sinistra, l’insediamento alla guida del Paese di un esponente di destra ha fatto fiutare a Battisti – all’epoca forte del sostegno ideologico di molti intellettuali, fra cui Gabriel Garcia Marquez, Daniel Pennac e Bernard-Henry Lévy – un cambio di clima nei suoi confronti. Di qui, il tentativo di fuga in Bolivia, dove c’è un esecutivo di sinistra, quello di Evo Morales, ritenuto evidentemente più malleabile e vicino alle necessità di un “rifugiato politico”.

Al momento, tuttavia, si registra una situazione di stallo: l’accoglimento della richiesta di scarcerazione immediata inoltrata dalla difesa, in attesa del giudizio della Corte Suprema, di fatto blocca temporaneamente le possibilità di rientro in Italia di Battisti. I suoi legali, inoltre, sostengono che i tempi per revocare la decisione di Lula sarebbero prescritti, salvo non si voglia stravolgere l’ordinamento giudiziario brasiliano. E l’annosa vicenda torna all’empasse.

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