Camerun, venti di secessione anche in Africa

Quello che sta accadendo nel Camerun anglofono non può non riportare alla nostra memoria la storia caotica delle frontiere africane.

Dopo la proclamazione di indipendenza dell’Eritrea nel 1993, del Sud Sudan nel 2011, è stato il turno dei camerunesi dell’Ambazonia  (il nome dato alle regioni anglofone che chiedono l’autodeterminazione) di proclamare simbolicamente la loro sovranità Domenica 1 Ottobre. Ironia della sorte, ciò è avvenuto lo stesso giorno scelto dai separatisti catalani per il referendum sull’autodeterminazione di quella regione della Spagna. Qualche giorno prima, il 92% dei Curdi iracheni avevano votato per l’indipendenza. Possiamo dire che la tentazione secessionista sia un’idea fissa per buon numero di attori politici africani? Una cosa è certa: questo recente sussulto sociale e politico supera le frontiere del Camerun ed entra nella lunga tradizione secessionista dell’Africa. Rimette anche in causa uno dei principi che si pensava ormai acquisiti dall’indipendenza dei Paesi africani, e soprattutto dalla nascita dell’Organizzazione dell’Unità Africana, e cioè “l’intangibilità delle frontiere ereditate dalla colonizzazione”.

Le frontiere dell’Africa, così come quelle dell’Europa sono frutto di costruzioni diplomatiche. Questa costruzione  è parsa ancor più vera per il Continente africano. Durante la  Conferenza di Berlino del 1885, l’Europa ha diviso il Continente africano in modo troppo approssimativo. Diceva allora esplicitamente il Primo Ministro britannico Lord Salisbury: “abbiamo cominciato a disegnare sulle mappe regioni dove l’uomo bianco non aveva mai messo piede. Ci siamo spartiti montagne, fiumi e laghi, quasi per nulla imbarazzati per il fatto che sapessimo appena dove fossero quelle montagne, quei fiumi e quei laghi”. In molti casi, i dirigenti africani arrivati al potere dopo la colonizzazione decisero di mantenere quelle frontiere che da allora sono spesso frutto di continue tensioni. Per questo motivo molti gruppi chiedono non tanto di tornare alle frontiere precoloniali, cosa che sarebbe alquanto complicata, ma nuovi contorni basati sull’appartenenza etnica, religiosa, o ancora sullo statuto speciale che avevano ottenuto prima della partenza del colonizzatore.

Ma torniamo su alcuni di questi conflitti secessionisti propri dell’Africa. Il primo vero conflitto avvenne l’11 Luglio del 1960 in Katanga. L’ex Congo belga aveva appena ottenuto l’indipendenza diventando Congo-Leopoldville. Due forze politiche piombano allora sulla scena: da una parte, il Cartello catanghese favorevole a uno Stato congolese unito intorno alla capitale Leopoldville e ad un uomo che segnerà la storia: Patrice Lumumba. Dall’altro, la Confederazione delle associazioni tribali del Katanga (Conakat) con a capo un certo Moise Tshombe, che punta al federalismo. Ma il caos che regna su quel vasto territorio precipita la secessione del  Katanga appoggiata dal Belgio e soprattutto dagli ambienti degli affari belgi. L’idea era quella di poter gestire quella ricca provincia situata appena a due chilometri dalla capitale e dominata dai membri dell’Unione mineraria dell’Alto Katanga (UMHK) come in passato. Tshombe e il suo braccio destro Godefroid Munongo sostenuti dagli europei, dichiarano l’autonomia della provincia del Katanga, l’11 Luglio del 1960. Ma le cose non vanno nella giusta direzione. Per sottolineare il suo sostegno, il Belgio invia degli uomini sul terreno, la risposta dell’esercito nazionale regolare congolese è inevitabile. La guerra scoppia e le Nazioni Unite che non hanno mai riconosciuto la giovane Nazione inviano i aschi blu. In quel periodo di Guerra Fredda le due superpotenze, Stati Uniti e Unione Sovietica, sono contrarie alle pratiche colonialiste difese dall’Europa. Sconfessano i belgi, e le Nazioni Unite vanno ancora più lontano rispondendo all’appello di Patrice Lumumba, favorevole ad un Congo unito. Dopo tre anni di conflitto, le truppe delle Nazioni Unite s’impongono a quelle di Tshombe, che ha appena il tempo di creare per quell’effimero Paese una moneta e un esercito. Quest’ultimo, una volta amnistiato, diventerà anche, ironia della sorte, Primo Ministro del Congo unito nel Gennaio del 1964. Una prima cocente sconfitta? No, tutto questo non servì a niente.  L’esperienza del Katanga, non è servita che come rampa di lancio per altri movimenti le cui velleità secessioniste hanno fatto precipitare i propri Paesi in grandi bagni di sangue.

Altra ferita aperta è il Biafra. Il 30 Maggi del 1967, il Paese Igbo allora diretto dal governatore militare della Nigeria orientale, Odumegwu Ojukw, proclama la “Repubblica indipendente del Biafra”. E’ una risposta radicale, ma sentendosi esclusi dalla vita socio-politica, se non addirittura perseguitati dalle altre due etnie principali, gli Haussa-Fulani (Nord) e gli Yoruba (sud-ovest), gli Igbo non vogliono saperne della decisione del Capo di Stato Yakubu Gowon, che voleva dividere la federazione in 12 Stati di cui tre per il sud-est della Nigeria, riserva petrolifera del Paese. Il Biafra, meno del 10% del territorio nigeriano, contava allora 14 milioni di abitanti sui 55 della federazione. La sua popolazione, in maggioranza cristiana, è composta per due terzi dagli Igbo. Meno di tre anni dopo, sottoposti ad embargo senza pietà e pagando con la morte più di un milione di persone, principalmente per malattie e carestie, la Repubblica del Biafra viene radiata dalla mappa. Un dramma di una violenza estrema che ha segnato a vita la memoria collettiva. In effetti le immagini della repressione del Governo  e della risposta dei secessionisti hanno fatto il giro del Mondo. Questa guerra a risvegliato ovunque un sentimento inedito di solidarietà sconvolgendo  la tradizione geopolitica. Anche gli addetti alle organizzazioni umanitarie erano lacerati sul da farsi. In quest’occasione nasce per volontà di Bernard Kouchner Medecins Sans Frontières. Il suo obbiettivo non era più quello di semplicemente aiutare, ma di “curare e testimoniare”. Sul terreno la posta in gioco è enorme. L’Est è la regione più ricca in risorse agricole, minerarie e soprattutto petrolifere. Gowon è pronto a tutto pur di non fare disgregare la Nigeria. Le autorità  militari federali formano un blocco contro la Nigeria del Sud-est. Il 6 Luglio del 1967, l’esercito lancia un’offensiva generale. Cominciano i primi bombardamenti. In Ottobre i “federali” prendono Enugu, capitale del Biafra, poi il porto di Calabar. Onitsha e Porta Harcourt verranno occupati nei primi mesi del 1968. Dal Gennaio del 1970, l’esercito federale lancia il suo ultimo assalto contro i biafrani ormai ridotti ai minimi termini. Il 15 Gennaio segna la fine del Biafra.  Ojukwu  l’11 Gennaio scappa in Costa d’Avorio, il suo secondo, Philip Effiong ufficializza la resa del Biafra al generale Gowon che con le seguenti parole: “nessun vincitore, nessun vinto”, cerca la riconciliazione nazionale. Tuttavia il conflitto crea un grande risentimento tra il sud-est e il resto del Paese, e resterà un grande tabù per la società nigeriana. La Nigeria è di nuovo unito, ma forse troppo tardi, perché la Guerra Civile ha dato un peso immenso all’esercito, i cui colpi di Stato saranno a lungo un leitmotiv della vita politica.

Due storie emblematiche dell’Africa post coloniale. Ultimo in ordine di tempo, il caso del Camerun. Gli scontri che hanno visto opporsi forze di sicurezza e secessionisti delle regioni anglofone del Camerun lo scorso 1° Ottobre, anniversario della riunificazione del Paese (votata con referendum l’11 Febbraio del 1961) hanno contrastato fortemente con le feste di Yaoundé, capitale politica del Paese, dove si celebravano i 56 anni di unione delle parti anglofone e francofone del Paese. Ma non c’è stata festa nazionale, né di unità nazionale, né di indipendenza. Una data a due visioni di un mondo che pare irreconciliabile. Come in molti Paesi africani la questione linguistica è superata da problemi più profondi. Numerosi studi, articoli, punti di vista segnano la storia di questi conflitti che non nascono oggi. Se spesso attestano una disparità di trattamento tra etnie o popolazioni autoctone, nessuno vede la soluzione in una semplice partizione del paese. La questione è molto complessa e gli esempi di secessione riuscita sono rari in Africa e nel mondo.

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