USA, il Clima e il pendolo della Storia

Chi l’avrebbe detto, che un giorno il pendolo della Storia avrebbe davvero riattraversato l’Atlantico e la leadership del mondo sarebbe tornata all’Europa? E, dall’altra sponda degli Usa, avrebbe passato il Pacifico fino alla Cina? Eppure sta accadendo, dopo la decisione di Donald Trump di ritirare gli Usa dall’accordo di Parigi sul Clima. E alla contestuale proposta di Trump di rinegoziare l’accordo: alla quale tutti, dall’Onu alle isole Fiji, hanno risposto picche. Dalla Germania all’Australia, dalla Francia alla Russia, dal Canada alla Cina, dall’India all’Unione Africana, il dissenso per la decisione di Trump è unanime. “Una decisione terribile, un disastro per l’umanità e per il pianeta” quella di Trump, secondo monsignor Marcelo Sanchez Sorondo, Cancelliere della Pontificia accademia delle Scienze. Ma alla reazione planetaria si somma quella interna agli Usa: contro la decisione del tycoon è nata un’ alleanza’ tra lo Stato di New York, la California, Los Angeles, Washington, Pittsburgh e sessanta città che non intendono abbandonare l’accordo di Parigi.

“L’Accordo”,  ha ricordato in una nota il segretariato della Convenzione quadro delle Nazioni unite sui cambiamenti climatici, mira a contenere l’aumento della temperatura del pianeta entro i 2 gradi ed “è stato firmato alla fine della COP21 di Parigi del 2015 da 194 e ratificato da 147 Paesi, “gode di profonda credibilità, essendo stato forgiato da tutte le nazioni ed essendo oltretutto supportato da una crescente ondata di città, stati, regioni e cittadini, quindi non può essere rinegoziato basandosi sulla richiesta di una singola parte”. Sul piano politico-diplomatico, dopo il ‘no’ di Trump che ha cancellato il ‘sì’ di Obama e isolato gli Stati Uniti, l’amministrazione Usa deve rispondere a molte sollecitazioni sulla sua credibilità. Deve rispondere a Merkel, Macron e Gentiloni, che hanno sottoscritto una dichiarazione congiunta di rammarico per la rottura del trattato, alla “delusione” di Theresa May, all’appunto di Putin sul fatto che “Trump poteva evitare di uscire dall’accordo”; e al.vice premier russo Arkadi Dvorkovich, che ricorda che “non si possono cambiare le decisioni già prese”; al presidente del gruppo Ppe nell’Europarlamento Manfred Weber, che dopo l’annuncio ha affermato che “in molte questioni di importanza fondamentale gli Stati Uniti hanno dimostrato di non essere più un partner affidabile” e al presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker, che ha affermato che “non si torna indietro dalla transizione energetica, non si torna indietro dall’accordo di Parigi”. E alla Cina che, cogliendo l’occasione di emergere sul piano della reputazione internazionale, conferma che terrá fede agli impegni presi con l’accordo di Parigi perché “crediamo che rifletta l’ampia approvazione della comunità internazionale sulla questione dei cambiamenti climatici”.

Non solo governi, ma anche, e soprattutto, economia. Intorno al tema, strategico per controllare il Clima, dell’energia. Un sintomo eloquente: subito dopo l’annuncio, il consiglieri del Presidente Usa Elon Musk, Ad dell’automobilistica, ‘elettrica’ Tesla, e Bob Iger, Ceo di Disney, Trump lo hanno abbandonato. Trump pensa di aver favorito le imprese Usa, ma ne ha favorite solo alcune. La costernazione dell’economia Usa per il ritiro dall’accordo di Parigi ha il suo fulcro nella Silicon Valley, ma tocca le dirigenze di General Motors, Ibm, Jp Morgan. E così l’America sta per perdere pezzi importanti, a cominciare dalle imprese tecnologicamente più evolute, e soprattutto cervelli: lo ha intuito subito il Commissario Ue per l’Energia, Miguel Arias Canete, che un’ora dopo la dichiarazione di Trump ha detto: “Questo è un triste giorno, ma l’annuncio di oggi ci ha galvanizzati piuttosto che indebolirci e questo vuoto sarà riempito da una nuova, ampia, impegnata leadership”. Altrettanto rapido il neoletto premier francese Macron, che, pronto a rubare ai cinesi i cervelli americani in fuga, ha detto alle telecamere, in inglese: “Ingegneri, scienziati americani che lavorate sul clima, vi lancio un appello: venite a lavorare in Francia, con noi”.

La posta in gioco è alta: è l’economia del futuro. E se da una parte il venir meno del produttore di un settimo dell’inquinamento globale compromette seriamente gli obiettivi di Parigi, dall’altra favorisce straordinariamente la corsa di tutti gli altri alla leadership della nuova economia e gli sforzi per la liberazione definitiva dalle fonti fossili: un’operazione già oggi possibile, che è rimasta fin’ora irrealizzata per ragioni che non sono tecnico-scientifiche, ormai è evidente per chiunque, ma di natura politico-commerciale.

Le cose sembrano stare semplicemente così, ma per alcune circostanze è difficile sperare che la questione Clima, che è, appunto, soprattutto una questione Economia, si risolva a buon mercato. Per caso, infatti, la questione si intreccia nei tempi con un altro problema emergente, la crisi di Corea. Se una guerra alla fine scoppiasse, gli Usa avrebbero modo di rilanciare l’unica leadership di cui ancora dispongono, quella militare: gravando economicamente gli alleati con il costo delle operazioni, impastoiando i non alleati con le sanzioni, e bloccando i porti della Cina. Nessuno ci crede veramente. Ma nessuno credeva veramente al ritiro degli Usa dall’accordo di Parigi sul Clima. Né, prima ancora, che vincesse le elezioni. Eppure una guerra non è possibile, neanche precipitando gli eventi e creando situazioni di fatto, senza l’appoggio diretto o indiretto degli alleati; né, d’altronde, è l’unica soluzione possibile. E allora è giunto il momento, per l’Europa da una parte e per la Cina dall’altra, di riscoprire il proprio ruolo nel mondo; il momento di far finalmente sentire il peso della propria forza antica: che il pendolo della Storia ha riportato loro.

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[NdR – L’autore cura un Blog dedicato ai temi trattati nei suoi articoli]

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