Trump, non solo una questione di Clima

Che Trump intendesse ritirare gli Stati Uniti dagli accordi di Parigi sui cambi climatici era prevedibile, dati i ripetuti e veementi annunci fatti in campagna elettorale. Ma la conferma del ritiro non poteva egualmente che causare forti reazioni in tutto il mondo. Si tratta, infatti, di una decisione gravissima, anche al di là del suo contenuto specifico. Significa il prevalere a Washington della linea di estrema destra, sostenuta dal Ministro dell’Ambiente, Pruitt, e dallo “stratega” della Casa Bianca, Bannon. E significa soprattutto che gli Stati Uniti di Trump voltano le spalle al  mondo, rifiutano le loro responsabilità globali, si isolano in una sorta di superbo egoismo (solo altri due Paesi escono fuori dagli Accordi di Parigi firmati da 195 nazioni, la Siria e il Nicaragua: non si può dire che gli USA si trovino in buona compagnia!).

È difficile immaginare ora le conseguenze a medio e lungo termine di questo atteggiamento sulle alleanze e sugli equilibri mondiali. Un primo risultato, già visibile, è un chiaro avvicinamento tra Unione Europea e Cina. La Cina è per l’Europa il secondo mercato (con 514 miliardi di euro di importazioni, rispetto ai 610 miliardi esportati negli Stati Uniti). È naturale che, se la prima economia mondiale si isola, la seconda e la terza si riavvicinino. Non è un processo facile: il commercio europeo con la Cina presenta un deficit importante, mentre il saldo con gli USA è attivo, e sui rapporti con Pechino pesano naturalmente questioni di diritti umani che, però, alla fine, avranno meno rilievo degli interessi economici. Ma è un processo che questo e altri gesti di Trump potrebbero rendere irreversibile. Va da sé che una intesa UE-Cina, e un parallelo riavvicinamento alla Russia, rappresenterebbero un’evoluzione degli equilibri geo-politici a danno degli stessi Stati Uniti. Ma che accadrebbe il giorno in cui i grandi Paesi europei, il Giappone ed altri cominciassero a dubitare dell’affidabilità dell’amicizia e dell’appoggio americani. La natura e la politica aborrono il vuoto, e se quello che ha costituito per settant’anni la base della nostra politica e delle nostre certezze dovesse svanire, gli europei sarebbero costretti, volenti o no, a unire le loro forze e cercarsi un altro amico esterno. Attenzione, non si tratta di un incubo remoto, ma di una possibilità seria, anche se non immediata.

Con la decisione annunciata giovedì scorso, Trump non ha solo rimesso in onore le fonti di energia più inquinanti, specie il carbone,  ma ha messo in pericolo il futuro del Pianeta. Perché lo ha fatto? (neppure i giganti dell’economia americana, petrolieri compresi, condividono la decisione presidenziale). Demagogia, populismo, rincorsa a creare qualche migliaio di posti di lavoro in più, malinteso bisogno di “mettere l’America in primo luogo”. Ma il risultato rischia di essere l’esatto contrario: fino ad ora, la forza dell’America e la sua influenza nel mondo si appoggiavano anche sulla fitta rete di alleanze messa in piedi dal 1948 in poi. Qualche commentatore americano ha osservato, per esempio, che in pochi mesi Trump è riuscito a scuotere i rapporti USA-Germania, cosa che la Russia ha invano tentato di fare per settanta anni.

C’è da chiedersi fino a quando il Congresso, il Partito Repubblicano nella sua parte moderata, l’opinione pubblica, l’establishment militare, gli organismi di intelligence, lasceranno agire un personaggio così incontrollabile e così pericoloso per gli Stati Uniti e per il mondo.

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