Tragedia di Manchester, che fare?

È triste dover regolarmente tornare a indignarsi e provare dolore per l’ennesima tragedia provocata da un terrorismo altrettanto criminale quanto codardo, che attacca innocenti indifesi, tra cui purtroppo tanti adolescenti e persino bambini.

Però confesso che mi sento indignato dal tipo di reazione che fatti del genere provocano. I cortei notturni con le fiammelle, le virtuose condanne a parole, i fiori sul luogo dell’attacco, mi fanno più rabbia che altro. Mi fa rabbia che il Papa inviti a pregare per le vittime e non spenda neppure una parola per esprimere orrore e condanna per le ideologie che sono all’origine e casomai riservi la sua critica a chi, come gli Stati Uniti, reagiscono con le bombe, anzi, con la madre di tutte le bombe”, come se colpire il nemico fosse un atto di barbarie, non di giusta autodifesa. Sotto la superficie della giusta solidarietà, tutte queste sono manifestazioni di impotenza, di debolezza e, nel caso del Papa, di partito preso ideologico.

Siamo in guerra e, agli attacchi, si risponde con i fatti, non solo identificando e punendo i responsabili e i loro complici, ma colpendo inesorabilmente chi ne è all’origine. Non si tratta di un centro occulto, l’ISIS ha una identità, vive su un territorio, ha capi ben identificabili. Che aspettano ancora USA e Russia a unire gli sforzi per distruggerlo? A che servono le fiere dichiarazioni di Trump? Perché non si lascia mano libera ai Curdi e non si obbliga la Turchia a lasciarli agire, perché ci si ostina ad accanirsi contro Assad e l’Iran, che combattono gli stessi nemici di noi? La Gran Bretagna non è il Lichtenstein: ha Forze Armate moderne e un’aviazione potente. Che aspetta la combattiva signora May, così dura nei confronti dell’Unione Europea, a ordinare attacchi ai centri dell’ISIS? Non si tratta di inutile vendetta, ma di giustizia, si tratta di far pagare ogni atto criminale, ogni insulto alla nostra civiltà. Ripetere che non siamo in una guerra di religione, che non si oppongono Cristianesimo e Islam, è ormai un mantra che forse facciamo bene a ripetere. Ma se di questo non si tratta, se siamo di fronte a una guerra di odio dichiarata da una minoranza di fanatici criminali contro le nostre vite, le nostre abitudini, tutto quello che ci è caro, l’unico modo serio e vero di combatterla è l’uso della forza di cui i maggiori Paesi occidentali, la Russia, la Turchia, dispongono. Tutto il resto è patetico e fastidioso irenismo.

Altro aspetto che indigna è il ripetersi di un ritornello già noto: come per tutti gli altri attentati, viene fuori che il terrorista kamikaze era noto ai servizi di sicurezza. A quanto pare, i servizi inglesi erano stati messi ben cinque volte sull’avviso da amici e parenti del giovane libico sulle sue idee estremiste e sulla sua pericolosità. E tuttavia ha potuto muoversi indisturbato, viaggiare in Siria, Turchia, Germania, e naturalmente in Gran Bretagna. Com’è possibile che gli organismi preposti alla sicurezza e alla prevenzione del terrorismo siano così negligenti, così ciechi, si direbbe così stupidi? D’accordo, prevenire l’atto isolato di un fanatico è quasi impossibile, ma qui si tratta di una cellula organizzata, che ha pianificato l’attentato, ha acquisito gli esplosivi necessari, ha comunicato con gli ispiratori del fatto. Arrestare i fratelli, il padre, e altre persone vicine all’attentatore va bene, ma che serve continuare a chiudere la stalla dopo che i buoi sono scappati? Magari ci sono di mezzo i legalismi che alle volte frenano l’azione preventiva degli apparati di sicurezza, ma quando capiremo che siamo in guerra e che in guerra le regole usuali non servono? Se so che qualcuno medita di uccidermi e ne ha la capacità, colpire in anticipo non è un diritto, è un dovere. Ancora una volta, questo non è accaduto e la tragedia è arrivata, puntuale e inesorabile.

Ma del sangue dei 22 morti e dei 50 feriti, alcuni gravemente, c’è qualcuno, qualche oscuro e sconosciuto funzionario dell’apparato di sicurezza britannico, che ha ignorato o sottovalutato, per inerzia o altro, il pericolo, che ha le mani macchiate.

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