Cronache dai Palazzi

Il governo va avanti con le privatizzazioni. L’obiettivo non è solo ridurre il debito pubblico ma anche aumentare l’efficienza delle società in cui lo Stato fa la sua parte. “L’obiettivo delle privatizzazioni non è solo far cassa – ha spiegato il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, nel corso della presentazione del rapporto Ocse – ma anche quello di aumentare l’efficienza manageriale delle imprese che sul mercato subiscono stimoli importanti”.

Restano però i dubbi. Il ministro dei Trasporti, Graziano Delrio, li ha espressi sull’operazione Ferrovie dello Stato: “Va fatta una riflessione profonda, il servizio universale non lo voglio sottoporre al mercato”. Delrio ha espresso le sue perplessità di fronte all’ipotesi di quotare in Borsa, quest’anno, le Frecce, i treni ad alta velocità delle Ferrovie dello Stato. Il sottosegretario alle Comunicazioni, Antonello Giacomelli si è invece pronunciato a proposito dell’ultima tranche di Poste con un riferimento ai “capitani coraggiosi” della privatizzazione Telecom del governo D’Alema, operazione bersagliata anche da Matteo Renzi negli ultimi giorni.

Per il ministro Padoan i timori sono infondati, in quanto “le privatizzazioni non tolgono lo Stato dal posto di guida”, di conseguenza “obiettivi strategici e priorità” non mutano. In definitiva il Tesoro intende portare avanti un’operazione il cui valore stimato per l’anno 2017 è pari all’0,5% per cento del Pil, circa 8 miliardi. Obiettivo in pratica mancato nel 2016. Il ministro dell’Economia ha giustificato il rinvio delle operazioni Poste e Fs di fronte all’Aula di Montecitorio “a causa dell’elevata volatilità dei mercati”. Ora invece il momento sembra essere proficuo, le Borse mondiali sembrano affrontare un periodo di stabilità, anche alla luce della nuova veste presidenziale statunitense, quindi per il Tesoro è il momento di agire lanciando un segnale chiaro agli investitori internazionali e alla stessa Europa. La manovra correttiva, invece, da realizzare senza ricorrere a nuove tasse, e quindi nemmeno aumenti di accise, attende ancora di essere messa nero su bianco.

Nel contempo il debito pubblico continua a salire, anche se un po’ meno del previsto. Il dato diffuso dalla Banca d’Italia al 31 dicembre 2016 vede il totale delle passività delle amministrazioni pubbliche raggiungere quota 2.217,6 miliardi, 45 in più rispetto alla fine del 2015, ma 13 in meno rispetto a novembre. Viene comunque specificato che l’incremento del debito è collegato ad un aumento delle disponibilità liquide del Tesoro nella sede della Banca centrale, quindi lo Stato non ha in definitiva eroso tutte le riserve. Per di più, occorre considerare più che il valore assoluto del debito il proprio rapporto con il Pil, che sarà noto nei primi giorni di marzo quando l’Istat presenterà il consuntivo 2016. Secondo una stima provvisoria e preventiva il rapporto debito/Pil salirebbe dal 132,3 del 2015 al 132,6 nel 2016, invece che al 132,8 come previsto dall’esecutivo.

Secondo gli ultimi numeri diffusi dall’Istituto nazionale di statistica, nell’ultimo trimestre dell’anno 2016 il prodotto interno lordo è cresciuto dello 0,2 per cento, mentre la variazione media annuale è stato pari allo 0,9 per cento, a fronte dello 0,8 previsto dal governo. L’Istat arrotonda il valore all’1 per cento considerando che nel 2016 si sono avute due giornate lavorative in meno rispetto al 2015. Si tratta comunque di una stima preliminare che non consente di pronunciarsi definitivamente. Facendo un’analisi settoriale si può rilevare un segno positivo per industria e servizi mentre non è lo stesso per l’agricoltura. Esportazioni nel complesso negative.

Anche se l’economia italiana continua a muoversi a passo lento soprattutto rispetto al resto dell’Europa, per il premier Gentiloni si tratta di numeri “incoraggianti” che danno man forte all’intenzione di “proseguire” sulla strada delle “riforme per favorire la crescita”. Il ministro dell’Economia, Padoan, ha inoltre aggiunto che le cifre “danno ragione ad una politica economica fatta di attenzione ai conti, riforme, sostegno a investimenti privati e investimenti pubblici”.

Il Tesoro nel frattempo è impegnato anche su un altro fronte, alle prese con il documento da presentare a Bruxelles, soprattutto per trovare risorse alternative per evitare aumenti delle accise. Per rispettare gli impegni presi con la Commissione Ue Palazzo Chigi punta sulla lotta all’evasione, per un valore di circa 1 miliardo, e sui risparmi di spesa, già messi nero su bianco, che genererebbero altri 800 milioni. La necessità di contenere i conti non dovrebbe però incidere negativamente sulla spinta agli investimenti, esplicata anche nell’ultima legge di bilancio e riconosciuta dalla stessa Unione europea. L’Ue, a sua volta, pur non avendo voluto dare alcun ultimatum, attende dall’Italia delle risposte chiare entro la fine di aprile.

Sul versante politico il primo piano spetta al Partito democratico che sembra a rischio “scissione”, anche se per Matteo Renzi, “salvare il Pd è ancora possibile”. L’ex premier, nonché segretario del Pd, fa inoltre “un appello ai dirigenti: bloccate le macchine della divisione”. In un’intervista al Corriere della Sera Renzi dice chiaramente che “le porte sono aperte, nessuno caccia nessuno. Ma un partito democratico non può andare avanti a colpi di ricatti”. Per i tempi del congresso, infine, “c’è uno statuto. Ci sono delle regole” e “non c’è luogo più democratico del congresso per parlare del futuro dell’Italia”, sottolinea Matteo Renzi.

Il Partito democratico è comunque in balìa della tempesta. “Fermate Matteo”, afferma Pier Luigi Bersani. La sinistra si sente fuori “al 95 per cento”. In tutto ciò Delrio tenta la strada della mediazione. “Spero si voti presto, ma bisogna cambiare prima la legge elettorale”, afferma invece il presidente dem, Matteo Orfini, per il quale “le elezioni non sono all’ordine del giorno”. A proposito di elezioni per Matteo Renzi, “in teoria”, si potrebbe arrivare alla fine della legislatura. “In pratica deciderà il presidente della Repubblica, sulla base della situazione politica”.

Tornando al Pd e alle sue divisioni, Massimo D’Alema parla di “processo costituente”, più che di scissione. In definitiva si potrebbe trattare della fine della stagione renziana e di un Pd in grado di inglobare all’interno tutta la sinistra. Una sinistra che dichiara in effetti di essere “al 95% già fuori”, due cifre nelle quali si fa fatica a non leggere la scissione. Il restante 5%, invece, in queste ore starebbe tentando la strada non facile della mediazione. Tra gli esponenti del 5% Bersani e Delrio. Delrio, in particolare, è stato citato dal fronte scissionista Speranza-Emiliano-Rossi, come colui che potrebbe portare a termine la ‘missione impossibile’. Emiliano, Rossi e Speranza avrebbero inoltre già pronto un documento per andare oltre il renzismo, da presentare presto agli elettori.

Pier Luigi Bersani specifica che le ragioni di un’eventuale scissione non vanno ricercate in “bizantinismi o questioni di lana caprina”, come può essere il calendario del congresso, bensì in “questioni serie e vitali per il Paese e per il Pd”: scuola, lavoro, politiche economiche e fiscali, disuguaglianze sociali e le sconfitte degli ultimi due anni a proposito delle quali “è stata zittita ogni richiesta di discussione vera”. Per l’ex segretario l’ideale sarebbe un andamento “ordinato” e non affrettato degli eventi, che inizi a giugno e si concluda in autunno, per arrivare alla fine naturale della legislatura senza far cadere “una spada di Damocle sul nostro governo”. Ma per fare ciò l’agenda del Partito democratico dovrebbe mettere al primo posto le esigenze del Paese e poi quelle del partito. Tra i fondatori, Walter Veltroni definisce la scissione “un incubo”. Per Anna Finocchiaro un’eventuale scissione non rafforzerebbe la sinistra, bensì ogni scissione “spesso ha bruciato personalità di primo livello”. Andrea Orlando, infine, colui che ha esplicitamente chiesto al segretario Matteo Renzi di fermarsi per evitare una pericolosa “conta” all’interno del Pd, prefigura “le conseguenze disastrose” di un’eventuale scissione, e invita la minoranza dem al dialogo per evitare il triste epilogo.

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