Gli Italiani e l’Europa

Il mio articolo di domenica scorsa sulle ragioni dell’Europa mi ha valso vari commenti, di approvazione o di critica, questi ultimi caratterizzati più da affermazioni umorali che da controargomenti che affrontino i veri nodi, come ad esempio come maneggiare il nostro enorme debito pubblico coi tassi a due cifre del passato, che l’euro ha permesso di tagliare ma che ritornerebbero con la lira; né dicono chi sostituirebbe la BCE negli acquisti di titoli e nella garanzia ultima che essa costituisce per il nostro debito.

Ma vediamo le affermazioni più frequenti.

L’euro ha fatto aumentare i prezzi. In verità, questi erano aumentati costantemente e con punte anche superiori al 10% annuali in tutto il periodo che va dall’inizio degli anni Settanta alla fine dei Novanta e i prezzi di alcuni beni si sono addirittura decuplicati. Poi è certo, l’euro ne ha provocato al suo inizio un’ulteriore lievitazione, frutto di una “parità” lira-euro sbagliata e della speculazione dei commercianti nel fissare i prezzi nella nuova moneta. Ma dal 2001 in poi i prezzi sarebbero comunque aumentati, se non altro per il vertiginoso aumento dei costi delle commodities, soprattutto dell’energia. Questo aumento è stato relativamente contenuto nell’Eurozona rispetto al resto del mondo, grazie all’euro e alla sua forza, per cui, se consideriamo il differenziale tra aumento prevedibile con la lira e aumento reale con l’euro, risulta chiaro che la moneta unica ci ha restituito in 12 anni quanto che ci aveva tolto all’inizio. Chi pensa che con il ritorno alla lira si ritornerebbe al potere d’acquisto di 14 anni fa (già allora fortemente deteriorato), cede a una nostalgia dolce ma irrazionale (mi fa pensare a chi sognava il ritorno alle mitiche “mille lire al mese”). In questi 14 anni il mondo è cambiato, tutto è cresciuto con o senza euro (solo per fare un esempio, il petrolio ha più che quintuplicato il suo prezzo, e così commodities come il grano, la soia, il rame).

Gli italiani non sono stati consultati sulle tappe dell’integrazione europea. Falso: a parte il loro maggioritario e costante voto a favore dei partiti pro-europei, gli italiani sono stati consultati, eccome!, nel referendum d’indirizzo del 1989, il cui quesito consisteva nell’istituzione di un’Unione Politica con un Governo responsabile davanti al Parlamento Europeo, cosa assai più avanzata dell’Unione Monetaria poi decisa e che la ricomprendeva in modo naturale. In quel referendum vi fu una partecipazione dell’80,7 %. I voti favorevoli furono 88,3% e quelli contrari 11,7%. Che non ci si venga a dire allora che gli Italiani siano stati assenti od ostili. Si potrebbe fare ora un referendum indirizzo sull’euro? No. I referendum d’indirizzo si riferiscono a materia futura (e nel caso del 1989 a una materia di estrema gravità, come il passaggio da Stato nazionale a Unione Politica, per di più affidato al PE e non ai normali organi costituzionali); mentre l’euro è materia già decisa e attuata con Trattato negoziato dai governi e approvato dal Parlamento, a cui solo spetta li potere di abrogarlo. Sottoporlo a referendum d’indirizzo è, quindi, costituzionalmente impossibile e, con la presente composizione della maggioranza parlamentare, politicamente improponibile.

Resta la constatazione di una crisi grave e del diffuso, e legittimo, malcontento popolare. Ma attribuire tutti i mali all’euro e chiedere il ritorno al passato è solo illusione, o strumentale demagogia.”

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