Pensioni, come funziona in Europa

Le pensioni sono da sempre un tasto dolente, forse particolarmente in Italia dove l’enorme debito pubblico che ci caratterizza fa mettere sempre questa voce sotto i riflettori quando si parla di finanza pubblica. Negli ultimi anni poi, prima il caso delle baby pensioni in Grecia, poi la legge Fornero catapultata all’improvviso sugli italiani, spesso in procinto di andare in quiescenza, ha aumentato decisamente il tasso di polemiche e discussioni in merito.

Come esiste una moneta unica, almeno nella grande maggioranza degli stati membri, non esiste invece un comune regime pensionistico in ambito UE. Le indicazioni sono di avere un equilibrio sostenibile con le finanze pubbliche che si fondi su sicurezza sociale obbligatoria, regime pensionistico integrativo ed assicurazioni sulla vita. Il fine dovrebbe essere di garantire al lavoratore che viene posto a riposo il mantenimento dello stesso standard qualitativo della vita che aveva nel periodo lavorativo.

Per avere un equilibrio pensionistico è necessario che vi sia un corretto rapporto tra popolazione attiva ed in pensione, l’allungamento della vita produce un ageing rate che viene calcolato, in ambito UE, su di un out look a 50 anni. Un sistema automatico di adeguamento già vige in Italia basato sulle aspettative di vita media, che produce lo spostamento del momento di quiescenza.

L’Ufficio Studi della Camera dei Deputati ha pubblicato il 20 luglio 2015 i dati sui requisiti anagrafici e contributivi per accedere alla pensione di vecchiaia ed alla pensione anticipata. Si tratta del Missoc (Mutual Information System on Social Protection), che è il database dei sistemi previdenziali europei. Il sistema analizza i requisiti di 31 paesi (i 27 Stati membri dell’Unione europea, più Islanda, Liechtenstein, Norvegia e Svizzera) e dei 12 settori principali della protezione sociale. I dati sono aggiornati al 1° luglio 2014 (per l’Italia a luglio 2015).

Quello che si evidenzia è che non è vero che in Italia si vada in pensione prima che negli altri paesi, anche se l’idea del Presidente dell’INPS Boeri di tornare alla pensione anticipata a 55 anni appare poco praticabile stante il disastrato stato delle casse pubbliche. Ma analizzando gli altri paesi europei si nota come in Austria gli uomini possano usufruire della messa a riposo a 65 anni e le donne a 60 con la possibilità di anticipare a 62 anni per uomini e donne, con almeno 40 anni di contributi. Simile il Belgio con 65 anni, ma anticipati a 61 con 39 di lavoro. Niente anticipo in Danimarca, ma a 65 anni si va in pensione.

Più complicata è la situazione francese, che possiamo riassumere in un pensionamento tra i 60 ed i 62 anni con tutti i contributi versati, portati a 65/67 se non è rispettato questo requisito. Ma la pensione anticipata è possibile già dai 56 anni di età. L’altro grande paese europeo, la Germania, ha uno standard posto a 67 anni, se si hanno 45 anni di contribuzione è possibile andarci a 65. Con 35 di contribuzione si può usufruirne all’età di 63. La Grecia chiede 67  se si hanno 15 anni di contribuzione e 62 con 40, il sistema di calcolo è complicato, ma è possibile andare in quiescenza a partire dai 60 in realtà e comunque in molti casi bastano 15 anni di contribuzione per averne diritto all’età di 62. Sono invece 35 anni di lavoro quelli necessari in Spagna per andare in pensione a 65 anni di età; una età che è quella fissata per il meritato riposo, indifferentemente per uomini e donne, nel Regno Unito.

Ed eccoci alla situazione dell’Italia, i lavoratori di sesso maschile del settore privato, lavoratori autonomi e para-subordinati ed i dipendenti pubblici, 66 anni e 3 mesi; le lavoratrici del settore privato a 63 anni e 9 mesi; quelle autonome e para-subordinate a 64 anni e 9 mesi. L’assegno sociale viene concesso a 65 anni e 3 mesi. Come ulteriore penalizzazione, si calcola l’aumento della speranza di vita per ricavarne un indice che porta a spostare in avanti l’età pensionabile. Questa, comunque, a partire dal gennaio 2021, non può essere inferiore a 67 anni (69 anni 9 mesi entro il 2050). E’ evidente come sia il sistema più penalizzante tra quelli in ambito UE. Se poi parliamo di anticipo, questo viene scoraggiato con penalizzazione che partono se si usufruisce della pensione prima  di 62 anni con 42 anni + 6 mesi per gli uomini e 41 anni + 6 mesi per le donne. 1% di riduzione se due anni prima dell’età di 62 anni, mentre una riduzione del 2% si applica se il beneficio è stato sostenuto anche prima dei 2 anni antecedenti l’età di 62 anni. Le persone assicurate prima del 1° gennaio 1996 con  almeno 20 anni, possono andare in pensione all’età di 63 anni e 3 mesi a condizione che l’importo della pensione sia almeno pari a 2,8 volte l’assegno sociale (447,61 € nel 2014).

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