La Convenzione di Istanbul

La Convenzione di Istanbul è assurta alle prime pagine delle cronache italiane quando la Suprema Corte di Cassazione ha annullato un’ordinanza del Tribunale di Rimini avente come oggetto la revoca della misura cautelare nei confronti di uno stalker, il tutto senza avvertire contemporaneamente la vittima degli abusi e delle violenze. In particolare i giudici hanno richiamato la suddetta Convenzione proprio in merito alla maggiore tutela che la stessa assicura nella difesa dei diritti delle donne vittime di violenze.

La Convenzione di Istanbul è datata dell’11 maggio 2011 ed è entrata in vigore l’1 agosto 2014, ratificata dall’Italia con legge n. 77 del 27 giugno 2013. Il normato consta di un Preambolo, di 81 articoli raggruppati in dodici Capitoli, e di un Allegato. Per avere piena efficacia è necessario che venga ratificata da almeno 10 stati di cui 8 membri UE, al momento solo 8 stati hanno adempiuto la procedura necessaria, quindi questo strumento legislativo non può ancora produrre i suoi effetti nella sua intierezza. E’ da rimarcare come sia il primo esempio di normativa del genera giuridicamente vincolante per gli aderenti.

L’articolo 3 definisce il campo di applicazione, intendendo la violenza contro le donne come “una violazione dei diritti umani e una forma di discriminazione contro le donne, comprendente tutti gli atti di violenza fondati sul genere che provocano o sono suscettibili di provocare danni o sofferenze di natura fisica, sessuale, psicologica o economica, comprese le minacce di compiere tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, sia nella sfera pubblica che nella sfera privata“. I capisaldi della Convenzione sono le classiche 3 P dei trattati internazionali, Prevenzione, Protezione, Punizione, includendo nella fattispecie dei reati anche il matrimonio forzato e la mutilazione dei genitali.

Una iniziativa meritevole, ma non scevra di chiaroscuri, innanzitutto il quadro normativo è solido, ma deve essere supportato da fatti che si vanno ad identificare come la messa in campo di sufficienti forze di polizia ed organismi di supporto per far rispettare, prevenire e tutelare le possibile o effettive vittime. Il fatto che solo pochi stati rispetto quelli firmatari abbiano poi effettivamente ratificato. Bizantino poi il comportamento italiano, se da un lato si è provveduto all’emissione  della legge 77, dall’altro si è messo a verbale una nota riguardo la nozione di genere contenuta nella Convenzione ove si dettaglia che “ci si riferisce a ruolo, comportamenti, attività e attributi socialmente costruiti che una determinata società considera appropriati per donne e uomini”. Considerando troppo estesa questa definizione di tutela, con la nota l’Italia pare andare ad escludere realtà come i transessuali dal campo di applicazione della normativa.

Sull’applicazione della Convenzione, vigilerà il GREVIO – Group of experts on Action against Violence against Women and Domestic Violence. Basato sull’art.66, il GREVIO avrà il compito di vigilare e valutare, attraverso rapporti periodici forniti dagli Stati, le misure adottate dalle parti contraenti ai fini dell’applicazione della citata Convenzione. Il funzionamento del GREVIO è regolato dal la risoluzione CM/Res(2014)43, (Resolution on rules on the election procedure of the members of the Group of Experts on Action against Violence against Women and Domestic Violence) emanata il 19 novembre 2014 dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa. Il regolamento stabilisce che “ciascuno Stato assicura che la procedura di selezione nazionale che porta alla nomina dei candidati per il GREVIO sia trasparente e aperta alla concorrenza, al fine di portare alla nomina dei candidati più qualificati”. L’incarico è a titolo gratuito, dura quattro anni ed è rinnovabile una sola volta.

Il Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa, Nils Muižnieks, ha definito la Convenzione “uno strumento di fondamentale importanza per sconfiggere una piaga che si diffonde in tutta Europa. Basti pensare che, da un rapporto citato nel documento, risulta che, nel 2013, in Turchia le vittime sono state 214, in Italia 134, in Francia 121, nel Regno Unito 143. Indispensabile, quindi, una lotta comune a questi crimini e una ratifica su larga scala della Convenzione”.

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