L’omicidio di Ankara sullo sfondo di Aleppo

Sembrava lo spezzone di un film hollywoodiano sulla crisi mediorientale, immagini in cui il terrorista, in preda al delirio, urla in diretta televisiva farneticanti proclami. Purtroppo, non è stata fiction, ma cruda realtà. Il 19 dicembre scorso, l’ambasciatore russo ad Ankara, Andrey Karlov, durante il suo discorso inaugurale a un’esposizione d’arte in una galleria della capitale turca, è stato mortalmente ferito a colpi di pistola da un attentatore, infiltratosi nello staff della sicurezza come body-guard del diplomatico.

L’uomo, Mevlut Mert Altintas, giovane poliziotto turco fuori servizio di ventidue anni, si è avvicinato alle spalle di Karlov e lo ha freddato davanti alle telecamere, inneggiando ad Allah e gridando di “non dimenticare Aleppo e la Siria”. Dopo aver circondato l’edificio e fatto irruzione all’interno, le teste di cuoio turche hanno a loro volta ucciso il killer. I media turchi riferiscono che la Russia attribuisce l’attentato al terrorismo di matrice radicale e islamica. Si indaga per stabilire se all’azione, apparentemente eseguita da un “lupo solitario”, vi sia stata partecipazione di complici. Nella notte, la polizia ha provveduto all’arresto di altre sei persone, sospettate di avere correlazioni con l’attentatore. Fra queste, la madre e la sorella dell’aggressore.

L’attacco di Altintas s’inserisce in uno scenario geopolitico delicatissimo e mutevole: la Turchia è, per ragioni geografiche, coinvolta in prima linea nel conflitto siriano. Le ambizioni egemoniche del presidente turco Erdogan, la sua avversione al regime di Damasco, i rapporti incrinati con la Russia di Putin, strenuo difensore di Assad, il pretesto di combattere l’Isis per sistemare anche la questione “interna” dei separatisti curdi del Pkk, la ripresa delle relazioni diplomatiche con Mosca dopo lo “strappo” seguito all’abbattimento del 24 novembre scorso – lungo il confine con la Siria – di un jet russo da parte della contraerea della Mezzaluna sono fattori di un quadro assai fosco, dove s’intrecciano e si scontrano poteri, interessi, drammi e vendette.

Da mesi, presunti golpe-lampo con annesse epurazioni a parte, la Turchia è sconvolta da continui e sanguinosi attentati, tra cui ricordiamo la recente doppia esplosione a Istanbul di un’autobomba davanti allo stadio del Besiktas, al termine di una partita di calcio, e, subito dopo, nel vicino parco Gezi, a piazza Taksim, per un totale di 38 morti e oltre 170 feriti in una sola notte. Le autorità di Ankara assegnano la paternità degli attentati al terrorismo curdo e al radicalismo islamico. Tuttavia, non va dimenticato come lo stesso Erdogan, per il tramite del figlio, non abbia disdegnato di intrattenere trasversalmente dubbi rapporti d’affari con le milizie jihadiste, per approvvigionarsi – a prezzi stracciati – di petrolio proveniente dai pozzi controllati dal Califfato, nel nord della Siria; da islamico moderato, inoltre, il presidente ha, nel tempo, sterzato su posizioni molto più integraliste, ispirandosi anacronisticamente addirittura agli antichi fasti dell’impero ottomano.

Una situazione assai ingarbugliata, dunque, quella turca: l’attacco di Altintas, a meno di 24 ore da un importante vertice tra i ministri degli esteri di Russia, Turchia e Iran, sul piano d’evacuazione della città di Aleppo, potrebbe essere stato un atto per allontanare nuovamente Mosca e Ankara e isolare Erdogan sul piano  internazionale. Secondo il sindaco della capitale turca, l’attentatore sarebbe stato legato al religioso Fetullah Gulen, nemico giurato di Erdogan, esiliato in Pennsylvania e accusato di essere il mandante del fallito colpo di stato estivo; per altre fonti, invece, l’omicida avrebbe fatto parte del gruppo terroristico siriano Fateh al Sham, composto di ex qaedisti di Al Nusra, pesantemente colpito durante i combattimenti per la liberazione di Aleppo. Un giornalista del quotidiano turco Hurriyet ha dichiarato, durante un’intervista, che Altintas avrebbe intonato l’inno di tale gruppo, prima di uccidere Karlov. E’ da notare che, questa volta, l’atto terroristico è stato perpetrato a danno di un alto rappresentante di un Paese straniero e non contro cittadini inermi, come avvenuto a Nizza o nell’ultimo attacco al mercatino natalizio di Berlino.

Sul tragico fatto, ognuno racconterà la sua verità, tra depistaggi, omissioni, falsità e ipotesi costruite alla bisogna per portare acqua al proprio mulino. Quel che, comunque, resterà impresso negli occhi della gente sarà la figura di un uomo in abito scuro che stringe un revolver con due mani e grida davanti alle telecamere, dopo aver spento una vita; un uomo, evidente prodotto dei semi della guerra e dell’odio che stanno macerando tutto il Medio Oriente.

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