Cronache dai Palazzi

Sei miliardi di euro in tre anni. È questo il budget previsto, e annunciato dal ministro del Lavoro Giuliano Poletti, a proposito di pensioni. Nel 2017 si prevede un esborso di circa 1,7 miliardi di euro, che crescerebbe costantemente nel 2018 (2,2 miliardi) e nel 2019 (2,5 miliardi). Tutto dipenderà comunque dalla prossima Legge di Bilancio e dai conti che senza dubbio dovranno tornare.

La riforma delle pensioni appena firmata dal governo e dalle tre sigle sindacali Cgil Cisl e Uil predispone una serie di misure tra cui l’anticipo pensionistico (Ape) , per cui sarà possibile andare in pensione con un massimo di tre anni e sette mesi di anticipo rispetto al termine previsto. In pratica i lavoratori potranno andare in pensione volontariamente (dai 63 anni) ricevendo un prestito dalla banca da restituire in 20 anni. In questo contesto le assicurazioni dovranno assicurare i rimborsi in caso di decesso. L’Ape è esente da ogni genere di imposta e sarà erogata per 12 mensilità, mentre per quanto riguarda i cosiddetti “lavori usuranti” al vaglio di governo e sindacati, l’Ape non avrà nessun costo. Anche disoccupati e disabili non subiranno il taglio del 6% dell’assegno, che ricadrebbe sull’anticipo pensionistico, se il proprio compenso non supera i 1500 euro. Tra i lavori usuranti figurerebbero gli infermieri delle sale operatorie e dei pronto soccorso, le maestre d’asilo e molto probabilmente anche delle elementari, i muratori e i marittimi. “Addetti ad attività gravose” li denomina il documento appena varato, tra i quali ci sarebbero, oltre ai lavoratori già elencati, anche i centralinisti dei call center, categoria lavorativa “giovane” che non conosce ancora pensionati.

Tra le altre misure vi è inoltre la quattordicesima e l’assegno aggiuntivo, per un massimo di 500 euro, incassato dai pensionati a basso reddito a luglio. Fino ad oggi sono 2,1 milioni i pensionati che beneficiano della quattordicesima e che ora godranno un incremento del 30 per cento. Mentre sono 1,2 milioni i pensionati che la incasseranno per la prima volta fino ad un massimo di 1000 euro al mese. Presa in considerazione anche la ricongiunzione dei contributi che diventerà gratuita per chi li ha versati a enti diversi avendo cambiato attività nel corso della propria carriera. Tale misura interessa indistintamente tutti i lavoratori: dipendenti, autonomi (compresi i professionisti) e anche gli iscritti alle gestioni separate, compresi i precari. L’assegno relativo sarà calcolato pro-rata. Per finire i lavoratori precoci, ossia coloro che hanno lavorato e versato contribuiti, per almeno dodici mesi, prima dei 19 anni di età. Costoro potranno andare in pensione con 41 anni di contributi se appartengono ad una delle seguenti categorie svantaggiate: disoccupati senza più ammortizzatori sociali, disabili o addetti ad attività “gravose” alcune delle quali sono ancora da definire e da aggiungere all’elenco dei lavori “usuranti” già messi nero su bianco.

Saranno in definitiva le pensioni il piatto forte della prossima legge di Bilancio. In  questo contesto entro il 15 ottobre Bruxelles dovrà ricevere dall’Italia e dagli altri Paesi membri il progetto di bilancio 2017, sulla base del quale la Commissione europea valuterà se le misure definitive “una tantum” dall’Italia sono conformi alle regole Ue. Tutto questo perché Bruxelles sembra aver già espresso il proprio disappunto riguardo ad una richiesta del nostro Paese sul tema immigrazione, considerato dal governo italiano una misura “eccezionale” in quanto l’Unione europea non si sarebbe ancora adoperata a mettere in pratica il piano di redistribuzione dei migranti tra i vari Paesi membri. L’Italia resterebbe quindi in una situazione “eccezionale”, benché valutata dall’Ue ormai “ricorrente”  e quindi non straordinaria. In sostanza per l’Unione europea possono essere espunte dal bilancio solo le spese “una tantum”, effettuate “nel breve termine” rispondendo ad un evento “specifico” e “non ricorrente”.

In definitiva ammonterebbero a 3,5 miliardi le risorse richieste dal governo italiano necessarie per far fronte all’emergenza immigrazione, mentre servirebbero altri 3 miliardi di euro per la ricostruzione post terremoto ma soprattutto “per programmare interventi antisismici”, dato che dopo “i tragici eventi succedutisi negli ultimi anni” – si legge nel Def (Documento di economia e finanza) diffuso dall’esecutivo – è prioritario “mettere in sicurezza la popolazione, il territorio, il patrimonio abitativo e culturale del Paese”. Viene menzionato a tale proposito il piano per l’adeguamento sismico delle scuole, ma anche “interventi urgenti di risanamento ambientale e idrogeologico”.

Tallone di achille del Def rimane, non a caso, il rapporto debito/Pil che dovrebbe scendere solo dal prossimo anno dal 132,8% del 2016 al 132,5, per arrivare al 126,6% nel 2019. Per quest’anno è previsto un aumento del deficit dall’1,6 tendenziale al 2% del Pil. Secondo l’Ufficio Parlamentare di bilancio si tratterebbe comunque di un quadro ottimistico, anche se per il 2018-19 rimane “la presenza di rilevanti fattori di rischio” che non nebulizzano “preoccupazioni sull’effettiva realizzabilità delle previsioni stesse”.

Su un altro binario viaggia la riforma costituzionale e il referendum del 4 dicembre (data tanto attesa e ormai nota). Non sono pochi gli avversari che parteggiano per il No, anche all’interno del Partito democratico, che denunciano “un’inversione ad U” del premier Renzi, che sarebbe tornato a “personalizzare la consultazione”. “È chiaro che di questo passo votiamo No in modo compatto”, avvertono i dem anti Renzi.  “Al pari del M5S si stanno comportando come i nostri veri avversari – replicano i vertici del Nazareno -. Non sono capaci di portare la gente a votare No, ma il danno è che puntano a farci perdere”.

Le speranze di Renzi, del suo staff e dei suoi sostenitori sono ovviamente orientate verso un successo per il Sì ma qualora le cose dovessero andare diversamente non è esclusa un’operazione di sanatoria. Il segretario-premier dovrà in sostanza chiarire all’interno proprio partito e non solo. Per adesso Renzi va avanti per la sua strada dando il via tra l’altro alla campagna referendaria che prevede l’investimento sui comitati, in quanto il porta a porta sposterebbe fino al 5% degli aventi diritto al voto. Ci si sta impegnando quindi per formare i vari volontari che non dovranno avventurarsi nella complessità delle riforme, e dovranno insistere sul taglio dei parlamentari e delle poltrone, oltre che su temi specifici del pacchetto Boschi, ad esempio i tempi che si riducono per l’approvazione delle leggi.

©Futuro Europa®

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