Cronache dai Palazzi

Palazzi chiusi per la pausa estiva, mentre l’attenzione è ancora puntata sul referendum costituzionale. Dieci parlamentari dem firmano un documento a favore del ‘no’, che non è contro il governo (spiegano) ma serve a centrare il confronto sul merito e non su pregiudiziali posizioni di partito o di schieramento. “Non condivido la scelta di alcuni miei colleghi del Partito democratico, anche se, come logico, la rispetto”, ha dichiarato Lorenzo Guerini. I firmatari dimostrano, in pratica, di essere pienamente consapevoli della loro posizione in dissenso da quella ufficiale del Partito democratico, e auspicano un confronto sul merito, convinti che, a norma di statuto, non ci si affidi alla disciplina di partito per quanto riguarda principi e impianto costituzionale. Alcuni senatori della minoranza dem hanno votato il testo in Aula ma nessun provvedimento nei loro confronti: “Siamo un partito, non una caserma”, ha aggiunto Guerini. Il Pd continua comunque “senza se e senza ma” la sua battaglia per  il ‘sì’.

A sostegno del ‘no’ uno specifico Comitato (per il no) che si esprime così attraverso il suo vicepresidente Alfiero Grandi: “Consideriamo positiva la presa di posizione di un gruppo di dieci parlamentari del Pd che si sono espressi a favore del ‘no’ nel referendum costituzionale. Positiva perché si tratta di un ‘no’ di merito alla riforma Renzi-Boschi; perché apre un dibattito serio dentro il Pd stesso, cercando di sgombrare il campo dalla discussione, impropria, sui destini del governo e dallo scambio Italicum-riforma; perché soprattutto dà voce ai tanti militanti ed elettori, che dentro il partito di Renzi non condividono questa revisione costituzionale”.

Polemiche invece per le nuove nomine dei Tg Rai: Ida Colucci al Tg2; Luca Mazzà al Tg3; Andrea Montanari al Giornale Radio; Nicoletta Manzione per Rai Parlamento. Riconfermati Mario Orfeo direttore del Tg1 e Vincenzo Morgante al Tgr. Due dei tre consiglieri dem della Commissione parlamentare di Vigilanza, Miguel Gotor e Federico Fornaro, hanno annunciato le loro dimissioni dalla commissione dichiarando che “le nomine nei tg rappresentano una decisione assunta in assenza di un nuovo progetto sull’informazione dell’azienda. Una decisione che risponde unicamente a logiche di normalizzazione di occupazione governativa del servizio pubblico, in forme per molti versi inedite e in contrasto con il principio costituzionale del pluralismo culturale e politico”. Gotor e Fornaro hanno inoltre additato Roberto Fico accusandolo di aver bocciato l’odg che avrebbe potuto rallentare le nomine: “Da lui scelta piratesca e burocratica”.

I due senatori bersaniani hanno in definitiva abbandonato la poltrona della vigilanza Rai citando l’intervista di Enrico Berlinguer a Scalfari di 35 anni fa. “Nel 1981 Berlinguer denunciava l’occupazione da parte dei partiti di governo delle principali istituzioni dello Stato, Rai compresa. Ci dissociamo da uno stile e da un costume politico che non ci appartiene e coerentemente rassegniamo le nostre dimissioni dalla Commissione di vigilanza Rai”. Anche Gasparri di Forza Italia attacca duramente Fico, bersagliando nel contempo l’esecutivo: “Il garante di questa lottizzazione renziana è stato soprattutto il presidente della Vigilanza”. I parlamentari pentastellati ovviamente non esitano a rispondere, affermando: “Non possiamo accettare lezioni di pluralismo dal duo comico Brunetta-Gasparri, sono loro che per anni hanno piazzato i loro uomini in Rai e adesso storcono il naso semplicemente per non essere stati coinvolti nel nuovo valzer lottizzatore di Renzi”. Una risposta che nella pratica conferma la sostanza politica delle nomine. Reazioni dure anche da parte della Federazione della Stampa e del sindacato Usigrai: “È ormai evidente che non esiste nessun piano. Così come è chiaro che esisteva solo la necessità di occupare nuove poltrone. Non cadremo certo nella trappola di parlare di questo o quel direttore. Quello che ci interessa è che si chiamino le cose con il loro nome: occupazione di posti e pura lottizzazione”. Le due sigle sindacali rivendicano in sostanza la mancanza di un “progetto” più volte richiesto “per poi individuare i profili adatti”. Mentre si “è svelato pubblicamente il bluff di chi, al vertice dell’azienda come in Consiglio di amministrazione, è arrivato come sedicente innovatore e si è rivelato per quello che è: conservatore, reazionario, come nei momenti più bui della Prima Repubblica”.

Il Cda della Rai ha in definitiva approvato a maggioranza il pacchetto del direttore generale, Antonio Campo Dall’Orto: su nove consiglieri, inclusa la presidente Maggioni, sei voti favorevoli e tre contrari, Arturo Diaconale e Giancarlo Mazzuca (centrodestra) e Carlo Freccero (sinistra-M5S). Di fronte alle polemiche l’azienda del servizio pubblico radiotelevisivo ha difeso così le proprie scelte di interni: “Le proposte sono state elaborate valorizzando le risorse interne, premiando il merito e le competenze, anche per i risultati ottenuti, attuando pienamente le pari opportunità, scegliendo profili che garantiscono autonomia, equilibrio e corrispondenti alla costante implementazione del Progetto Informazione Rai”. Alla fine dei conti però “l’operazione doveva essere gestita meglio. C’è un problema su come l’azienda è vista dai cittadini”, ha dichiarato la consigliera dem Rita Borioni. Dalla parte dei nominati Luca Mazzà chiamato alla guida del tg della terza Rete assicura lungimiranza: “Sono consapevole della grande responsabilità legata al mio ruolo e sarà mio impegno guidare il Tg3 lungo la linea della forte autonomia da ogni tipo di potere politico ed economico e del rigore nel racconto della realtà”. La Rai nel contempo sottolinea che il progetto esiste ed ha obiettivi chiari: “Arrivare entro il 2017 a portare l’offerta informativa della Rai (dai tg nazionali ai regionali ai radiofonici, dai programmi di approfondimento a quelli sportivi) quotidianamente e in tempo reale su tutte le varie piattaforme digitali: siti, social, tablet, smartphone”.

Sul fronte governativo il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan è intervenuto a Montecitorio assicurando serenità per i mercati. In sostanza gli Npl, cioè i crediti difficili da riscuotere per le banche, rappresentano un problema ma non sono una minaccia per la stabilità del sistema. “L’elevato stock di crediti deteriorati – ha spiegato Padoan – non è di per sé una minaccia per la stabilità finanziaria, visto che le risorse che le banche hanno accantonato a copertura di tali crediti e le garanzie che li assistono sono ampie”. Occorre però sottolineare che il loro “riassorbimento” è “necessario per facilitare la ripresa del credito a imprese e famiglie e ridurne il costo, ma questo richiederà inevitabilmente tempo”. La questione rimane aperta e a questo punto  è possibile che la Cassa depositi e prestiti sia chiamata a fare uno sforzo supplementare, anche perché Poste italiane dopo aver investito 260 milioni di euro nel primo fondo Atlante ha ora annunciato una partecipazione inferiore. Nel suo intervento alla Camera il ministro Padoan ha additato come fattori deterioranti del credito anche “gli errori del management” e “in altri casi la condotta illecita del management”, puntualizzando di essere “favorevole alle azioni di responsabilità da parte dei nuovi organi amministrativi”. Su quest’ultimo punto il deputato cinquestelle Alessandro Villarosa ha chiesto in Aula le dimissioni del ministro. Nel caso specifico di Monte dei Paschi – del quale il Tesoro è tuttora azionista – l’ Assemblea di Mps dello scorso 14 aprile ha rigettato quasi all’unanimità la proposta di azione di responsabilità per i vecchi manager.

©Futuro Europa®

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