Migranti, la rotta egiziana

Tre hub principali convogliano i flussi migratori dal Nord-Africa e dal Medio Oriente verso l’Europa: Turchia, Libia ed Egitto. Insieme alla Grecia, il nostro Paese, per la sua centralità nel Mediterraneo, rappresenta un’immediata piattaforma di prima accoglienza e un ideale approdo all’incrocio con gran parte dei tracciati marittimi percorribili.

I più recenti avvenimenti nelle aree mediterranee di crisi interessate da guerre civili e povertà, propulsori dell’autentica “transumanza” che l’Unione Europea non riesce ancora a gestire, hanno modificato la situazione: le barriere frontaliere di Erdogan, finanziate da Bruxelles per fare da argine e filtro ai profughi siriani, insieme all’intransigenza di Austria, Ungheria e Paesi dell’ex Jugoslavia, hanno sostanzialmente ridotto – se non interrotto – il passaggio lungo la rotta turco-balcanica; con analogo risultato, il parziale presidio territoriale esercitato dal governo d’unità nazionale di Sarraj, in Libia, ha sensibilmente depotenziato le capacità di manovra delle organizzazioni dedite al traffico di esseri umani.

Come un gas che cerca sfogo in ogni spazio vuoto, i trafficanti hanno spostato il baricentro operativo in Egitto, dove sono assistiti da una rete criminale ben strutturata e oliata, in grado di assicurare i margini sufficienti per continuare con profitto il proprio business. Nonostante l’intensificazione dei controlli da parte della polizia egiziana, le partenze, in precedenza notturne, avvengono oggi alle prime luci dell’alba dal delta del Nilo. La tecnica è stata adeguata alla maggior concentrazione di profughi, occorsa alla blindatura delle altre due direttrici migratorie. Le imbarcazioni utilizzate sono pescherecci di 25 metri, le cosiddette “navi madri”, con circa 70-80 persone rinchiuse nella stiva; una volta in prossimità dei litorali siciliani, calabresi e pugliesi, evitata Lampedusa e l’attività di monitoraggio costiero intorno all’isola, i passeggeri sono trasferiti a forza su gommoni, mentre i loro aguzzini tornano indietro prima di entrare nel raggio d’intercettazione delle motovedette italiane. Le autorità egiziane sembrano avere difficoltà a impedire ai pescatori di togliere gli ormeggi al sorgere del sole e dirigersi in mare aperto al lavoro; oppure, malignamente, potremmo pensare che vi sia un voluto allentamento nelle maglie dei controlli, messo in atto dal regime di Al Sisi, onde creare una sorta di diversivo, pressione o ritorsione da opporre alla determinazione mostrata dal nostro governo nella ricerca – per Il Cairo, scomoda – della verità sul caso Regeni.

Ipotesi a parte, nei giorni scorsi è balzata alle cronache la notizia della scomparsa per presunto naufragio, al largo della Sicilia, di circa quattrocento migranti, a bordo di una “nave madre” salpata da Alessandria d’Egitto. Ciò confermerebbe il cambio di trend riguardo ai siti di partenza ora utilizzati dai trafficanti. Negli ultimi mesi, mentre il numero di sbarchi provenienti dalla Libia è rimasto stazionario, gli arrivi via mare dall’Egitto si sono decuplicati, passando da 208 a 1927.

Intervenire direttamente, offrendo aiuti economici, supporto politico e – laddove strettamente necessario – appoggio militare nelle regioni in cui prolifera il fenomeno migratorio verso il Vecchio Continente, sembra ormai una scelta obbligata. In tal senso, l’approntamento di un nuovo Piano Marshall europeo a favore dello sviluppo e della democratizzazione dei Paesi africani, proposto da autorevoli osservatori internazionali, contribuirebbe con buone percentuali di successo a sradicare le cause principali dell’immigrazione e a eliminare un possibile veicolo di pericolose infiltrazioni jihadiste.

©Futuro Europa®

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