Marò, the neverending story

Repetita iuvant, dicevano in modo risoluto i nostri antenati e, perciò, torniamo a parlare dei fucilieri Latorre e Girone. Rinfreschiamo la memoria dei lettori su una vicenda che, invece, di risolutezza ha visto ben poco e di giustizia ancor meno;  tutto a spese di due servitori della patria, trattenuti contro la propria volontà e il buon senso, cui è stato – dal nostro punto di vista – sottratto il bene più prezioso: la libertà personale. Parliamo di soldati che, nell’Oceano Indiano, al largo delle coste della regione indiana del Kerala, in servizio anti-pirateria a bordo della petroliera battente bandiera  italiana Enrica Lexie, sarebbero accusati dell’uccisione di due pescatori indiani, scambiati per malviventi in procinto di arrembare l’imbarcazione.

Il caso ha innescato un duro e lungo conflitto di natura giuridica tra India e Italia, paesi con legislazioni evidentemente differenti, immediatamente riverberatosi sul più ampio piano dei reciproci rapporti politici e diplomatici, tanto che, oggi, la soluzione è rinviata alle norme del diritto internazionale marittimo. Da un arbitrato internazionale super partes, ci si aspetta, finalmente, risposte insindacabili alle tre grandi questioni che infiammano le parti coinvolte nel contenzioso: definizione del concetto di acque internazionali e zone contigue, su cui si gioca la partita relativa all’esatta posizione del cargo italiano al momento della sparatoria; determinazione dei reati imputabili a militari nello svolgimento delle proprie mansioni, nel caso di violazione delle procedure d’ingaggio previste per le azioni difensive; e, soprattutto, individuazione del foro di giudizio competente.

Marò - Latorre - GironeUna situazione decisamente complessa, in cui si confrontano versioni diametralmente opposte. Le autorità indiane sostengono che il fatto sia avvenuto nella zona contigua, in un raggio di 24 miglia nautiche dalle coste del Kerala, entro il quale la giurisdizione andrebbe attribuita all’India; il nostro governo, al contrario, dichiara che il mercantile si trovasse in acque internazionali. I testimoni, compagni delle vittime, affermano che i fucilieri hanno sparato per uccidere e adducono come prova lo scafo colpito del loro peschereccio; i nostri ribadiscono di aver seguito le procedure esplodendo raffiche in aria, che non avrebbero scoraggiato il pericoloso avvicinamento del peschereccio. Le prime perizie balistiche indiane sui proiettili rinvenuti nei corpi dei due pescatori riportano il calibro “5,56mm Nato”, in dotazione ai militari del Reggimento San Marco; tuttavia, da una recente autopsia, eseguita da un medico legale indiano su una delle vittime, risulterà che il proiettile mortale è di calibro superiore (7,62 mm, calibro molto diffuso, in quell’area, tra pirati somali e guardia costiera dello Sri Lanka) a quello Nato, da cui si deduce che l’autore dell’esame balistico, vicedirettore del Laboratorio di medicina legale di Thiruvananthapuram, abbia, a suo tempo, taroccato i dati rilevati. A prescindere, poi, dalle prove a carico e a discarico, resta la contesa su due diverse interpretazioni, sempre legate alla questione dell’extraterritorialità delle acque: per l’ordinamento italiano, in sintonia con le risoluzioni Onu che disciplinano la lotta alla pirateria internazionale, i fucilieri a bordo della petroliera devono essere considerati personale militare in servizio su territorio italiano e godere di immunità giurisdizionale nei confronti di Stati terzi; di converso, per la legge indiana, un crimine perpetrato ai danni di un cittadino indiano su imbarcazione indiana, deve essere giudicato in India, anche nell’ipotesi di suo accadimento in acque internazionali.

In quattro anni di trattative e scaramucce legali, il tribunale centrale di Nuova Delhi non ha ancora prodotto un solo capo d’imputazione, cosa aberrante anche per un paese come l’Italia, estremamente bisognoso di una robusta riforma dell’apparato giudiziario. I tempi si prospettano lunghi e, in realtà, la soluzione diplomatica, in questo esasperante braccio di ferro, sarebbe la via più breve e maggiormente auspicabile.

Ricordiamo solo che la legge 130 del 2011 e il successivo protocollo d’intesa tra Marina Militare e Confitarma (Confederazione Armatori Italiani), con cui sono regolate le attività di scorta armata alle proprie navi commerciali e di contrasto alla pirateria marittima, si preoccupano prevalentemente della tutela dell’interesse economico e poco dell’assenza di garanzie dei militari “affittati” per il servizio di sicurezza, tanto da poter affermare che il settore dovrebbe essere allargato a team di contractors privati. E, infatti, a suo tempo, il comandante dell’Enrica Lexie, poiché civile e dalla parte dell’armatore che non voleva rogne, ignorò l’ordine della Marina Militare italiana di mantenersi in acque internazionali e decise di soddisfare la richiesta indiana di attraccare nel porto di Kochi, consentendo, dunque, l’arresto dei Marò.

Ad oggi, Girone alloggia forzatamente nella nostra ambasciata di Nuova Delhi, mentre Latorre ha ricevuto dalla Corte Suprema indiana il permesso di trattenersi altri tre mesi in Italia, per continuare le terapie necessarie dopo aver subito un intervento chirurgico al cuore. Ma un autentico tarlo che ci assilla è: se si fosse trattato di due militari americani, o inglesi, o francesi, come sarebbe andata la storia?

©Futuro Europa®

Condividi
precedente

Frontiere esterne UE, investimenti per 1 miliardo

successivo

Il viaggio di Arlo (Film, 2015)

Rispondi

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *