Europa: BCE e tassi di occupazione

Si sa che le bugie hanno le gambe corte, nel caso poi a raccontarle sia qualcuno nato nella terra di Collodi, può succedere che al Pinocchio di turno cresca il naso, ma purtroppo non cresca l’occupazione. La simbologia riportata ci conduce direttamente ai continui proclami che il governo Renzi sparge a piene mani, dopo le varie smentite fatte dall’Istat rispetto le dichiarazioni roboanti del Ministro del Lavoro Poletti, ora arrivano anche i dati della BCE. Secondo l’istituto guidato dal Governatore Mario Draghi si evidenzia come rispetto all’inizio della crisi, nel 2008, l’occupazione complessiva in Italia “è rimasta pressoché invariata, in controtendenza rispetto all’insieme dell’area dell’euro e alle sue economie più piccole“.

In particolare si pone l’accento su come, tra il secondo trimestre del 2013 e il corrispondente periodo del 2015, l’incremento del numero di occupati “è dipeso per il 63% da posizioni a tempo parziale“. Ancora la BCE pubblica nel suo bollettino mensile che “Due grandi economie dell’area dell’euro, Germania e Spagna, hanno contribuito per quasi due terzi all’incremento complessivo del numero di occupati nell’area dal secondo trimestre del 2013, con apporti pari rispettivamente a 592.000 e 724.000 unità“. Come se volesse mettersi al riparo dalle inevitabili critiche e precisazione che seguono sempre dati non positivi, lo stesso Istituto aggiunge che “Questo risultato non dipende esclusivamente dalle dimensioni dei due paesi; si consideri che nello stesso periodo i livelli occupazionali di Francia e Italia sono aumentati, nell’ordine, di appena 190.000 e 127.000 unità, pari all’incirca al 15% del rialzo per l’insieme dell’area dell’euro. Il recupero dell’occupazione nell’area dell’euro è stato trainato, oltre che dalla Spagna, dal marcato aumento del numero di occupati in Irlanda, Grecia e Portogallo. Nell’insieme, queste tre economie hanno esercitato un impatto del 15% circa sulla crescita del numero di occupati nell’area dell’euro dal secondo trimestre del 2013.“.

Analizzando i dati vediamo quindi come tre paesi piccoli e vituperati hanno avuto lo stesso impatto di due grandi economie come Francia e Italia, aggiungiamo che l’economia transalpina tanto spesso portata ad esempio in negativo dal governo Renzi ha in realtà, malgrado il suo stato tutt’altro che buono, macinato quasi 70.000 occupati in più di noi. Ora preveniamo subito chi puntigliosamente vorrà porre l’indice sul fatto che il Jobs Act ha cominciato a dispiegare i suoi “benefici” effetti solo dal terzo trimestre mentre l’analisi della BCE si ferma al secondo. Con 2.500.584 avviamenti al lavoro il terzo trimestre del 2015 paragonato allo stesso periodo del 2014, mostra non vi è stata alcuna sostanziale crescita (solo 593 contratti in più). Ancora i numeri dicono che cresce il tempo indeterminato con 493.927 (+21,2%) contratti attivati, con l’apprendistato in calo (-14.969) ed un secco meno del 45,2 % rispetto le collaborazioni (solo 85.925 avviamenti).

Interpretando i dati riportati non possiamo non vedere come le previsioni fatte dall’economista Fumagalli nella intervista che ci ha rilasciato trovino nuovamente conferma, dopo uno spostamento iniziale della forza lavoro dal tempo determinato all’indeterminato, non si sono avuti significativi aumenti del fattore numerico complessivo. I dati del Ministero nell’arco dei tre mesi in esame incrociati con quelli dell’Inps mostrano che sono stati 261.655 i contratti incentivati  di cui 62.677 per le trasformazioni (da tempo determinato e/o collaborazioni). Per ottenere questi mediocri numeri sono stati stanziati ben 2 miliardi nel 2015 ed altri 3 negli anni successivi, insomma tanta spesa poca resa.

Prendendo ancora in esame due categorie particolari, i giovani e gli over 50, scopriamo ulteriori sorprese, dal vaso di Pandora del Ministero estraiamo che la tanto pubblicizzata Garanzia Giovani non ha prodotto alcun numero ufficiale, solo il numero dei giovani cui sono state “offerte delle misure”, ogni commento è perfino superfluo. Sorprendentemente invece la fascia degli over 50 è l’unica ad avere conseguito numeri interessanti con 18.000 nuovi assunti ed una crescita totale di 900.000 occupati da gennaio 2013.

Concludendo, la BCE auspica una maggiore flessibilità del mercato del lavoro nei patrii confini, la recente svolta spagnola è stata dettata in buona parte da un aumento del precariato. Ma visti i risultati devastanti provocati al sistema sociale dal precariato da cui si sta tentando faticosamente di allontanarsi, resta il fatto che un aumento del fattore lavoro non può prescindere da un corrispondente aumento della ricchezza prodotta dal paese e quindi da un aumento della domanda interna. Per ora siamo alle continue promesse elettorali di calo di tasse, sempre da passare sotto le forche caudine dei conti pubblici e dei vincoli di bilancio, ma anche questo fu evidenziato in passato dalle nostre interviste, resta molto più pregnante, o comunque deve essere molto importante, un contemporaneo calo del costo del lavoro a carico delle imprese che vada ad incidere direttamente sulla competitività delle nostre PMI.

©Futuro Europa®

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