Trivelle: Obama ci ripensa, Renzi no

Obama ci ripensa, e dice ‘no’ alle trivelle in Alaska, una autorizzazione che aveva concesso in contrasto con il suo contemporaneo Clean Power Plan e con i buoni propositi in vista della Conferenza sul Clima di Parigi. Un punto debole del Presidente Usa, il petrolio in Alaska: che subito era stato attaccato, siamo in campagna elettorale, da Hillary Clinton. Renzi, no: i pozzi in Adriatico vanno avanti. Proprio in questi giorni è arrivato l’ennesimo benestare della serie, due nuove autorizzazioni di ricerca di idrocarburi nel Mar Ionio.

Per questo, mercoledì scorso, WWF, Legambiente, FAI e Greenpeace hanno partecipato ad un sit a Roma, organizzato dal comitato ‘No Ombrina’ davanti al Ministero dello Sviluppo Economico, dove era in programma la Conferenza dei Servizi sulla piattaforma-simbolo delle trivelle in Adriatico. La manifestazione, alla quale hanno partecipato centinaia di cittadini provenienti da Abruzzo, Marche, Molise, Puglia, Campania e Lazio, ha ottenuto un risultato: la conferenza dei servizi è stata rimandata a novembre. “Abbiamo vinto una battaglia – ha affermato il sindaco di Lanciano Mario Pupillo dopo la manifestazione – ma non la guerra. Il nostro no ad Ombrina è più che mai deciso e determinato, e il rinvio di tre settimane della conferenza dei servizi da parte del ministero dello Sviluppo è una vittoria delle comunità rappresentate dai sindaci e dai tanti studenti, cittadini e movimenti arrivati a Roma per manifestare pacificamente”.

Come mai una prima ‘vittoria’ no-triv dell’Abruzzo proprio mentre i Pugliesi incassano le due nuove autorizzazioni nello Jonio? La chiave è nel Pd di governo a livello locale: nelle Regioni dove ‘incassa’ meglio, come la Puglia, Renzi può a sua volta ‘incassare’ le autorizzazioni senza se e senza ma; in quelle che proprio non ne possono più, o dove riesce ad emergere una visione globale e lungimirante del problema, come l’Abruzzo, il premier, che comunque Ombrina Mare 2 l’ha già portata a buon punto, fatica un po’ ad andare avanti con l’anacronistico petrolio.

La chiave di tutto, va ricordato, è nel decreto ‘Sblocca Italia’ che ha tolto alle Regioni il diritto di veto sui progetti, ora ‘autorizzabili’ direttamente da Roma; e nel ‘Decreto Sviluppo’ del 2012, che ha consentito alle piattaforme di ‘entrare’ all’interno della zona di rispetto delle 12 miglia dalla costa e invadere – ci sono già i progetti – persino il territorio interno, le valli e le colline del Bel Paese. Senza che siano ammesse discussioni da parte degli enti e delle comunità locali, prevede appunto lo Sblocca Italia di Renzi. Il tutto a vantaggio di progetti anti-economici, basti pensare alle bassissime royalties richieste dall’Italia ai petrolieri in cambio della devastazione del prezioso e unico paesaggio italiano. In questa emergenza, l’Abruzzo si sta rivelando un ‘laboratorio di democrazia’ particolarmente interessante. Per due fattori: primo, la consistenza del progetto ‘Ombrina Mare 2’. Il progetto è diventato grazie all’ostinazione degli Abruzzesi il simbolo del contrasto di una anacronistica stagione petrolifera che comprometterebbe il paesaggio del Bel Paese per poche royalties.

Come ha spiegato infatti Dante Caserta, vicepresidente del Wwf Italia,”il progetto Ombrina Mare 2 è il più impattante dell’Adriatico. Prevede l’installazione di una piattaforma alta oltre 45 metri dal livello del mare, a 6 miglia marine dall’area dell’istituendo parco nazionale della Costa teatina, collegata a una raffineria galleggiante Fpso lunga 320 metri e larga 33, con una altezza dal livello del mare di 54 metri, che stazionerebbe a sole 10 miglia dalla costa, con un intricato sistema di condotte sottomarine per un totale di 36-42 km”. Pochissimo indotto in posti di lavoro, e solo per il poco tempo di attività della piattaforma, ma importanti ricadute negative sull’economia di una regione che sta puntando con decisione sulla green economy. Davvero un pessimo affare, che ‘messo in piazza’ come gli Abruzzesi stanno facendo di fronte all’Italia, è indifendibile da chi l’ha messo in cantiere. Il secondo fattore che ha reso l’Abruzzo un ‘laboratorio di democrazia’ sono alcune prese di posizione, come quella del piddino presidente della Regione Abruzzo Luciano D’Alfonso: “Dobbiamo allineare le procedure italiane, le procedure croate e di tutti gli Stati bagnati dall’Adriatico per avere una condotta univoca rispetto all’offesa del mare tramite le trivelle”, cosa detta in occasione dell’incontro ‘La macroregione Adriatico-Ionica per lavoro e crescita’ tenuto a Bruxelles durante la Settimana dedicata a città e regioni, promossa da Commissione europea e Comitato delle Regioni Ue.

La macroregione europea Adriatico-Ionica potrebbe nascere con indirizzi di sviluppo non, o non troppo, petroliferi. L’Abruzzo ha promosso ed ha aderito con altre nove regioni alla proposta di referendum per l’abrogazione della possibilità di portare le trivelle entro le 12 miglia. D’Alfonso ha dovuto ascoltare il grido che gli Abruzzesi hanno rilanciato sotto le finestre del plenipotenziario ministero dell’Economia a Roma: “Democrazia, democrazia!” Va diversamente in altre Regioni, come la Puglia, dove il Pd ed il governatore piddino Emiliano hanno appena incassato le due nuove autorizzazioni. Mentre atroci mal di pancia attraversano i partiti locali di Marche ed Emilia Romagna. Nel frattempo le associazioni ambientaliste, non lontane, come area, dal Pd, fanno quello che ci si aspetta da loro: tengono alta l’attenzione mantenendo nel frattempo sotto controllo il dissenso; e sostengono i referendum anti-trivelle; che però saranno celebrati, se lo saranno, quando ormai gli impianti, gli investimenti ed i diritti maturati dalle compagnie, saranno avviati da tempo sulla loro strada.

Insomma: stando ai fatti, stando almeno alle dichiarazioni, mentre negli USA si guarda al futuro, in Italia andranno avanti le trivelle; e questo solo perché, in Italia, una Hillary non c’è. Anche in Italia incombono elezioni, è vero; ma per quanto rivestite di un significato politico nazionale, saranno amministrative, e coinvolgeranno i partiti e gli amministratori locali prima del governo loro omogeneo, e per giunta principalmente a Roma, Milano e Napoli, che per ora non vedono i loro territorio minacciati dal petrolio. E dunque le trivelle da noi le trivelle non sono per ora ‘questioni da leader’, aspetto rilevante in una democrazia non piena ma rappresentativa. E perciò aspettiamoci le trivelle non solo sulle spiagge, ma anche in mezzo ai campi; e tanti saluti al Bel Paese. Una notizia a margine, però, va data: riguardo ad una interrogazione alla Commissione europea per chiedere un parere sugli articoli 36 e 38 dello Sblocca-Italia con cui si modificano i criteri autorizzativi per le trivellazioni e le estrazioni di idrocarburi sulla terra ferma ed in mare entro le dodici miglia dalla costa. “Abbiamo fondati motivi per pensare che le nuove procedure per le trivellazioni contrastino con due direttive Ue – spiega l’interrogante in una nota – la 2013/30, sulla sicurezza delle operazioni in mare nel settore degli idrocarburi, e la 2014/52, relativa ai nuovi, più stringenti, criteri in materia di valutazione dell’impatto ambientale per ogni opera pubblica, e che dovrà essere recepita da tutti gli Stati membri entro il 16 maggio 2017”. “Mentre l’Ue sceglie la strada dell’energia basata sulle reti transnazionali, le fonti alternative, il risparmio e l’efficienza energetica, noi andiamo nella direzione opposta. Le trivellazioni penalizzano soprattutto il Mezzogiorno, che dovrebbe puntare su ben altro per recuperare il gap di crescita, sviluppo e occupazione. Le nuove trivellazioni aiutano solo qualche compagnia petrolifera di serie C”. Firmato Massimo Paolucci, vice capodelegazione del Pd al Parlamento europeo. Dalemiano.

©Futuro Europa®

[NdR – L’autore cura un Blog dedicato ai temi trattati nei suoi articoli]

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