Cronache dai Palazzi

Niente armistizio e ancora una settimana di trattative sul destino di Palazzo Madama, anche se “Il cuore della legge non si tocca”, ha affermato più volte Renzi riferendosi al Senato, e in particolare all’art. 2 del ddl Boschi. La minoranza dem vorrebbe rivedere in parte anche l’art. 1 che si riferisce alle competenze dei senatori. Giovedì 17 settembre, quindi, la presidente della commissione Affari costituzionali del Senato, Anna Finocchiaro, dovrà stabilire se far passare o meno in commissione gli emendamenti all’art. 2 (molti della minoranza Pd) che mirano all’elezione diretta dei senatori, caldamente schivata dal governo.

Il premier si dichiara comunque pronto a lavorare su modalità elettive diverse. Si discute anche di una maggiore autonomia elettiva concessa direttamente ai Consigli regionali che potrebbero designare gli inquilini da destinare a Palazzo Madama all’interno del voto regionale. “Una soluzione si trova, è a portata di mano – afferma Renzi dagli studi di Porta a Porta – l’obiettivo è un Paese più semplice, entro il 15 ottobre si approva tutto e poi si punta alla vera scadenza, il referendum, dove saranno gli italiani a decidere con un sì o con un no, e poi dicono che non è un processo democratico”, chiosa Matteo Renzi.  Per tornare al Senato eletto direttamente dai cittadini bisognerebbe riaprire la discussione sull’art. 2, ciò che non è nelle intenzioni della maggioranza. Sulla vicenda è chiamato inoltre a dire l’ultima parola il presidente Grasso che la prossima settimana dovrà guidare i lavori. “Su di lui pesa anche il pressing della burocrazia di Palazzo Madama, che ovviamente spinge per il Senato com’è ora”, ammoniscono dai vertici del Pd.

Dalla festa dell’Unità di Firenze Bersani ribadisce di voler trovare una “mediazione”, ma nello stesso tempo ammette che se non si scioglierà il nodo dell’elettività non sarà facile trovare un accordo. “E tanto per essere chiari, io la riforma la voto solo se si cambia l’articolo 2”, ammonisce l’ex segretario. Da Reggio Emilia Vasco Errani sembra raccogliere l’invito all’apertura dicendo che una riforma del Senato “ci vuole”, ma per concretizzarla occorre unire le forze del Pd perseguendo una sintesi adeguata. Una sintesi che comunque sembra irraggiungibile soprattutto ascoltando le ultime parole di Bersani, che fa un’analisi dei pesi e dei contrappesi in democrazia: “Senza finanziamento pubblico, senza legge sui partiti e sulle primarie ma con questo Italicum non avremo più un uomo solo al comando, ma un uomo solo al guinzaglio di chi può pagare le campagne”. Nel frattempo il ddl firmato dal deputato del Pd Sergio Boccadutri sblocca i rimborsi ai partiti relativi al 2013-2015 tra le proteste in Aula dei Cinquestelle, che hanno sempre rivendicato di aver rinunciato al finanziamento pubblico. Aboliti dalla legge Letta, ma solo a partire dal 2017, i finanziamenti pubblici (che nel ’93 un referendum radicale chiese di sospendere) dovevano ancora arrivare ai partiti, sia pur dimezzati, a luglio. Ma solo dopo aver verificato la correttezza dei bilanci da parte di una Commissione di garanzia la quale però si è dimessa non riuscendo così ad effettuare i dovuti controlli, e favorendo di conseguenza il blocco dei rimborsi. Contro le proteste di Grillo il democrat Boccadutri rivendica comunque la norma, soprannominata dai dissidenti la “leggina-truffa che aggira un’altra legge truffa”. “La legge che stiamo approvando semplicemente sana una situazione oggettiva e relativa a quest’anno – ha affermato Boccadutri – di fronte alla quale si è trovata la Commissione di garanzia per la trasparenza”.

Al di là delle speranze – Renzi auspica che il suo Pd si ricompatti a favore della riforma – c’è chi analizzando l’atmosfera ne percepisce gli effetti nocivi, che pur si manifestano: “Il governo può condire i ricatti con molte offerte, ma io in Senato vedo tanti resistenti – afferma il presidente dei Popolari per l’Italia Mario Mauro -, ben più rigidi dei renziani”. Quindi, anche riuscendo a ricompattare il proprio partito, il premier potrebbe perdere comunque altri pezzi. “Io questa riforma non la voto”, ha dichiarato Roberto Formigoni”, mentre per Gaetano Quagliariello, che non nega di aver partecipato alla riunione degli arrabbiati di ncd, in verità l’elezione diretta è un falso problema e le modifiche che servono sono di diverso genere: “Se ci sono problemi riguardo alle garanzie bisogna potenziare i diritti e le prerogative delle opposizioni”.

Dal fronte dei centristi rispuntano inoltre eventuali trattative a proposito di Italicum, per cui Lorenzo Cesa si appella ad Alfano affinché prema sul governo per inserire il premio di coalizione. Centristi che mirano ovviamente a sopravvivere temendo di scomparire alle prossime elezioni. Quagliariello, invece, non nasconde il proprio lavoro a favore di Area popolare affinché assuma “una sua autonomia politica e programmatica e organizzativa”. Sulla Gazzetta del Mezzogiorno l’ex ministro delle Riforme tira in ballo addirittura un nuovo movimento che potrebbe abbracciare anche Tosi e Fitto. Sintetizzando gli animi, e proiettando lo sguardo verso le prossime elezioni (anche se nel 2018) Maurizio Sacconi dichiara: “Non possiamo costringere il nostro corpo elettorale a scegliere tra Renzi e gli estremisti di Salvini e Grillo”.

L’eleggibilità diretta dei senatori sembra in definitiva una frontiera politico-simbolica che la minoranza dem usa per marcare la propria distanza dal premier-segretario – nonostante dicano di preferire l’accordo politico allo scontro parlamentare – mentre le altre forze cercano di ottenere qualcos’altro su altri fronti, patteggiando un si o un no a favore della riforma del Senato. Facendo la conta, Lega e M5S sembrano i gruppi più compatti, mentre Pd, Ncd e FI – le formazioni che dovrebbero garantire la riuscita della riforma costituzionale, e quindi la cancellazione del bicameralismo perfetto, sia politicamente sia numericamente -presentano, ognuno per motivi diversi, delle crepe provocate da scosse centrifughe non trascurabili. Dai banchi del Nuovo Centrodestra, Maurizio Lupi, comunque rassicura: “Mai mettere in contrapposizione riforme e legge elettorale”, anche se l’Italicum andrebbe in definitiva rivisto. “Il premio va dato alla coalizione”, afferma Roberto Formigoni sposando l’idea di Cesa, “prima o poi questo cambiamento va fatto”.

Nel frattempo sono pronte le regole per il trasferimento degli statali da un settore all’altro della Pubblica Amministrazione. La Corte dei Conti ha infatti messo a punto il decreto attuativo con le cosiddette “tabelle di equiparazione” finalizzate ai trasferimenti dei dipendenti pubblici; tabelle attese in particolare dal personale delle Province. I trasferimenti dovranno avvenire “senza pregiudicare, rispetto al requisito del titolo di studio, le progressioni di carriera acquisite”. Per quanto riguarda gli stipendi, invece, se il dipendente verrà trasferito con mobilità non volontaria avrà il diritto di mantenere il trattamento economico fondamentale e accessorio di partenza se più favorevole. Tutto ciò attraverso un assegno ‘ad personam’ riassorbibile con i successivi miglioramenti economici. Ministeri, agenzie fiscali, presidenza del Consiglio dei ministri, enti pubblici non economici, regioni e autonomie locali, servizio sanitario nazionale, università, enti di ricerca, scuola: sono queste le strutture della P.A. che subiranno i cambiamenti definiti nella bozza di Dlgs atteso in Consiglio dei ministri in autunno. Il decreto legislativo prevede inoltre una consistente riduzione delle Camere di commercio ( dalle attuali 105 a massimo 60), e in quelle rimanenti verrà ridotto il numero dei consiglieri che dovranno rispettare il limite di due mandati e non riceveranno più gettoni di presenza. Dovrà comunque essere garantita una Camera per ogni regione, così come per ogni provincia autonoma e città metropolitana.

©Futuro Europa®

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