Il conto è servito

Cosa scorra davvero sotto la superficie dei negoziati tra Unione Europea e Grecia, non è dato di sapere. Né sfugge il particolare che, nel dialogo con Atene, l’interlocutore unico sia – in realtà – la Germania e che, dall’insediamento dell’esecutivo guidato da Tsipras, al di fuori di Merkel e Schauble, nessun altro leader europeo abbia giocato un ruolo visibile nelle trattative.

E’ delle ultime ore la notizia che Fraport, consorzio tedesco nella gestione aeroportuale, impegnato da circa un anno nella caccia ai maggiori scali turistici ellenici, ha finalmente ottenuto dal premier Tsipras, a fronte di un importo di circa 1,23 miliardi di euro, la maxi concessione fino al 2055 di 14 aeroporti, nevralgici punti di snodo lungo le principali rotte turistiche che attraversano il paese. Tra questi, citiamo gli scali di Salonicco, Rodi, Corfù, Kos, Skiathos, Mikonos e Santorini. Le privatizzazioni sono dunque cominciate e, guarda caso, il colosso tedesco è il primo e, al momento, il solo a bussare alla porta, nemmeno fosse l’unico membro dell’Unione a vantare crediti con Atene. La percezione, forse maliziosa, pur tuttavia impossibile da ignorare, è quella dell’avvio di una svendita d’interi settori strategici, che porterà, nella fattispecie, alla cessione, fra annessi e connessi, del più importante pilastro economico greco: il turismo.

Quanto influisca il fatto che il Bundestag sia chiamato a deliberare sull’autorizzazione al terzo salvataggio alla Grecia, con un piano complessivo del valore di 86 miliardi di euro, è di non difficile intuizione. A conferma dell’esattezza dell’equazione, anche sul fronte alemanno si rileva il mutato atteggiamento del falco Schauble, ieri inflessibile promotore del Grexit, oggi accorato sostenitore davanti al parlamento – in nome del senso di responsabilità – della ratifica agli aiuti. Dietro le quinte, sempre e solo questioni d’interessi, talvolta gestite come UE, qualora il problema si configuri come un’autentica rogna, talvolta negoziate unilateralmente dal singolo membro di maggior peso, laddove in una crisi s’intravedano ricche opportunità di business.

Le riflessioni che emergono sulla vicenda non sono lusinghiere e questo va francamente detto. Da un lato, abbiamo il premier d’un paese in bancarotta che ha giocato col fuoco e che, dopo essersi bruciato con le fiamme, alza le mani in segno di resa totale davanti a tutte le condizioni richieste dalla Troika, pregiudica la propria immagine e attendibilità rispetto alle promesse elettorali fatte al popolo greco e indebolisce notevolmente la sua leadership all’interno di Syriza, un partito spaccato in maniera irreversibile sulle scelte politiche intraprese dal governo.

Dall’altro, un modo autoritario e invasivo – in una parola, teutonico – di fungere da traino agli altri partner, che ai cittadini europei comincia a non piacere, nonché la sensazione di un’Unione senza pari dignità fra i paesi membri, ridotta al ruolo di ancillare infrastruttura politica ed economica della Germania.

La locomotiva di Berlino non si ferma e a farne le spese sono i paesi più vulnerabili dell’area mediterranea. Nel caso greco, Tsipras ha sfidato e osato troppo. Punizione o ristrutturazione del debito che sia, alla fine l’Eurogruppo, dalla forte scia tedesca, ha servito il conto. Ed è piuttosto salato.

©Futuro Europa®

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