Cronache dai Palazzi

Continua il cammino ad ostacoli delle riforme. Dopo la riforma costituzionale – che in settimana ha superato l’esame di Montecitorio, pur spaccando i partiti – il Consiglio dei ministri vara il decreto della “Buona scuola” e abbozza la riforma della Rai, il cui ddl dovrebbe essere approvato la prossima settimana.

“Fate bene, fate presto” – è l’esortazione del premier rivolta al Parlamento, che “in un modo o nell’altro riuscirà a realizzare abbastanza rapidamente le proposte sulla scuola, se vorrà lavorare con senso d’urgenza”, sottolinea Renzi.

Il ministro Giannini annuncia invece “un nuovo modello di scuola” e incoraggia il Parlamento affinché “sostenga il cambiamento con un ok rapido”. Il disegno di legge sulla Buona Scuola dovrà così essere discusso dalla Camere ma l’iter parlamentare prevede prima il passaggio nelle Commissioni di Camera e Senato, e poi la discussione in Parlamento, non prima del 17 marzo.

“Questa è la riforma principale per il nostro Paese ne siamo sempre più convinti ed orgogliosi”, ha afferma con entusiasmo Matteo Renzi in conferenza stampa, esponendo di conseguenza i dieci pilastri della “Buona Scuola”. Il principio dell’autonomia è il primo pilastro: ogni preside dovrà essere “l’allenatore di una squadra” selezionando direttamente i docenti di cui il proprio istituto ha bisogno, prelevandoli da albi territoriali formati dagli uffici scolastici regionali. I curricula saranno resi pubblici on line assicurando la trasparenza dell’operazione.  Stop inoltre alle “classi pollaio”: usando l’organico in maniera flessibile e funzionale il dirigente scolastico potrà valutare l’assegnazione dei suoi docenti in base alle necessità. Il preside potrà infine scegliere 3 vicepresidi e valuterà il lavoro degli insegnanti beneficiandoli eventualmente di un bonus annuale (200 milioni di euro complessivi da dividere tra tutte le scuole), che premierebbe il loro buon lavoro.  Agli insegnanti vanno anche 500 euro in più all’anno per spese culturali. Messi inoltre nero su bianco altri provvedimenti come le detrazioni fiscali per le paritarie, fino alle medie (incluse); il potenziamento di inglese, educazione motoria, arte, musica, diritto, economia; l’alternanza scuola-lavoro negli istituti tecnici e nei licei fino ad un massimo di 400 ore; ‘school bonus’ e 5 per mille per coloro che decidono di investire sulla scuola, opere di ristrutturazione o quant’altro.

“Per la prima volta si inserisce un criterio di merito nella scuola italiana”, afferma Matteo Renzi, sottolineando nel contempo che il preside non rappresenta “un uomo solo al comando”, dato che i dirigenti scolastici saranno a loro volta sottoposti ad una “valutazione”, un tema che il governo tratterà in seguito incardinandolo in un disegno di legge delega.  In questo contesto non mancano le proteste dei sindacati che contestano il ruolo troppo accentratore dei dirigenti scolastici: “Non si può mettere tutto in mano a una sola persona”, osserva la Uil, mentre Gianna Fracassi della Cgil rimarca “l’attacco al contratto nazionale”.

Nonostante tutto, Renzi è convinto che con il decreto della Buona Scuola “si sana una clamorosa ferita di 20anni di promesse non mantenute”. Un piano straordinario di “oltre 100 mila assunzioni (150 mila all’inizio, ndr) per coprire le cattedre vacanti e creare l’organico dell’autonomia”. I precari saranno stabilizzati dal primo settembre 2015 mentre per tutti gli altri nel 2016 torna il concorso, che da ora in poi sarà l’unico strumento per poter accedere all’assunzione. I sindacati reputano comunque insufficiente il numero delle assunzioni che secondo Rino Di Meglio della Gilda “non basta a soddisfare le attese di migliaia di insegnanti”. Carmelo Barbagallo della Uil sottolinea invece la necessità di un “decreto”, perché “non si possono lasciare ancora tante persone in balìa dell’incertezza”. Francesco Scrima della Cisl rimembra infine “i tanti precari con anni di servizio ma fuori dalle Gae (graduatorie a esaurimento, ndr) che rimangono esclusi, nonostante gli obblighi della sentenza europea”.

Sul fronte del sistema pubblico radiotelevisivo il governo assicura uno svincolamento della Rai dal sistema dell”audience e dalle mani dei partiti. “Siamo orgogliosi della Rai e vogliamo che gli italiani lo siano sempre di più – afferma Matteo Renzi -. E vogliamo che non abbia sempre l’occhio sui dati auditel alle 10 del mattino. Che sono importanti, ma è importante una Rai capace di rappresentare il Paese”.  Secondo l’idea di Rai descritta dal premier in carica il sistema pubblico radiotelevisivo “dev’essere il grande soggetto che prende per mano gli italiani e li porta nell’era digitale, con attenzione ai contenuti e con il rispetto del compito informativo del servizio pubblico”. Questo il contenuto di una prima bozza di riforma che prevede l’annullamento della “contiguità con i partiti e le forze politiche”; la strutturazione di tre reti tematiche con una “più marcata definizione e missione”, e quindi il tramonto delle tre reti generaliste;  un amministratore delegato designato dal governo. L’esecutivo, puntualizza Renzi, “ha il dovere, più che il diritto, di individuare il capo azienda che poi naturalmente deve passare al voto del Consiglio di amministrazione”. Sette infine i consiglieri e la maggioranza (si presume quattro) dovrebbe essere votata dalle Camere, “spero in seduta comune per sottolineare l’importanza della Rai”, ha sottolineato Renzi. Un consigliere dei sette dovrebbe essere votato dai dipendenti Rai e i restanti due (tra i quali l’amministratore delegato) dal Consiglio dei ministri. In definitiva “sarà il Parlamento a decidere”, ha affermato Renzi, a condizione però che il “capo azienda possa lavorare . E non sia costretto a mediazioni su mediazioni, con un numero pletorico di vicedirettori, vicecaporedattori, vicestrutture”.

La riforma istituzionale ha invece riaperto le ferite sia all’interno di Forza Italia – dove 17 deputati capeggiati da Denis Verdini  sottolineano di aver votato contro il ddl solo per correttezza e lealtà nei confronti di Berlusconi ma senza condividere  la scelta; mentre l’ex Cavaliere, rinvigorito dall’assoluzione della Cassazione, si illude di avere un partito di nuovo compatto e di aver smentito “le cassandre” evocate dai giornali – sia all’interno del Pd dove la minoranza puntualizza che il voto a favore della suddetta riforma “è l’ultimo atto di responsabilità”.

Come ha spiegato Pier Luigi Bersani al capo dello Stato, “il combinato disposto fra riforma costituzionale (con un Senato di non eletti) e una riforma elettorale che darà spazio soprattutto ai nominati, deforma il nostro assetto democratico. Se bisogna mandare avanti la riforma – è il ragionamento dell’ex segretario del Pd – non si può che intervenire sull’Italicum”. In pratica se Matteo Renzi non riaprirà il dialogo, soprattutto all’interno del proprio partito, la minoranza non voterà la nuova legge elettorale e, in generale, non sosterrà più il piano delle riforme.

“Ciascuno si assumerà le proprie responsabilità. Da parte nostra ci riserviamo fin da ora la nostra autonomia di giudizio e di azione”, scrivono 24 deputati capeggiati da Gianni Cuperlo in un documento, anticipato da Bersani a Mattarella. Il documento spiega chiaramente che il sì a favore della riforma costituzionale è stato concesso “per non fallire il processo riformatore” ma restano “riserve profonde sull’assetto istituzionale e sulla forma di governo che si va delineando”. I deputati dem denunciano “il combinato della riforma costituzionale e della nuova legge elettorale” che delineerebbe “un sistema ibrido – né vero presidenzialismo né più repubblica parlamentare – con una maggioranza di deputati e senatori ‘nominati’ e un indebolimento di controlli e garanzie”. Le principali modifiche sarebbero due: “l’aumento dei collegi” sull’Italicum o “correzioni alla riforma costituzionale, per garantire un equilibrio di funzioni, poteri e garanzie”. Un’eventuale “chiusura” e quindi una  preclusione al confronto, accenderebbe lo scontro nel Pd ostacolando, in primo luogo, il percorso della riforma costituzionale a Palazzo Madama.

Sull’Italicum infine irrompono le parole del presidente della Consulta, Alessandro Criscuolo, che giudica la consulenza preventiva “una formula inopportuna”. Così Renzi rischia di darsi la zappa sui piedi proprio a causa di quel controllo preventivo della  Corte costituzionale sulla riforma elettorale, che gli oppositori interni hanno voluto fosse inserito nel disegno di legge costituzionale Boschi. In pratica, attaccandosi alle parole di Criscuolo, qualcuno potrebbe ricorrere contro il ddl costituzionale proprio in virtù di quel vaglio preventivo fortemente voluto dai dissidenti, ma ora giudicato “inopportuno”.

Renzi continua a dire che sull’Italicum “non si può tornare indietro” e che la riforma elettorale non si tocca, “ma per cancellare i 100 capilista bloccati serve solo un emendamento di tre righe. Mica bisogna ripartire da zero”, ammonisce Massimo D’Alema di fronte ad una platea di militanti raccolti nello storico circolo dem di via dei Giubbonari. “Altrimenti con l’Italicum avremmo nella stessa lista candidati eletti perché nominati dai segretari  – aggiunge D’Alema – e altri perché capaci di raccogliere le preferenze”. Di conseguenza con un Italicum che, come il Porcellum, “favorisce le oligarchie”, per l’ex premier “sarebbe meglio tornare al Mattarellum. Quella sì che era una riforma capace di aumentare il potere dei cittadini, mentre quelle di ora il potere dell’elettore lo fanno arretrare”. Sul referendum, invece, gli risponde Maria Elena Boschi attraverso le telecamere di La7: “Mi spiace che proprio lui non rispetti la Carta: è l’articolo 138 che lo prevede”.

La volontà popolare potrebbe essere invocata anche a proposito di riforma costituzionale (Senato e Titolo V). Renzi sembra aver promesso il referendum anche se il varo sarà, nella migliore delle ipotesi, a maggioranza qualificata. Per ora il prossimo appuntamento con l’elettorato è il 31 maggio, designato dal Cdm come “election day”, giorno in cui verranno concentrate le elezioni regionali e amministrative.

©Futuro Europa®

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