De Kock e le ferite ancora aperte del Sudafrica

Eguene de Kock ha confessato tutto, chiesto più volte perdono, aiutato a risolvere i crimini più sordidi dell’apartheid. Venerdì scorso il Ministro della Giustizia sudafricano ha concesso all’ex capo squadrone della Polizia segreta la libertà vigilata in nome “dell’Unità Nazionale”, mettendo in imbarazzo e dividendo un Paese già in precario equilibrio.

L’ex ufficiale del regime bianco, specializzato in torture, dopo 20 anni di prigione e una partecipazione da manuale alla Commissione Verità e Conciliazione, voluta e creata da Nelson Mandela, è idoneo alla libertà vigilata da sette anni, ma questa gli era stata negata due volte, in un Paese dove la riconciliazione razziale è ancora difficile. La decisione di venerdì ha riaperto il dibattito sui crimini del regime razzista in mano per anni alla minoranza bianca. Per molti suoi compatrioti, de Kock, 65 anni, rimane la reincarnazione del diavolo, autore di crimini imperdonabili – assassinii, rapimenti, torture. Decorato a più riprese, era a capo del commando “Vlaklpaas”, unità speciale che cacciava i militanti anti-apartheid, che prende il nome della fattoria vicino a Pretoria dove lo squadrone torturava e uccideva le sue vittime. Davanti alla Commissione verità e conciliazione, ha confessato 100 crimini, descrivendo minuziosamente come i servizi di sicurezza agivano in tempo di apartheid. E’ stato amnistiato per molti di essi, compresa l’esplosione della sede dell’ANC (African National Congress, partito al potere al quale apparteneva Mandela) a Londra nel 1982. Ma sei omicid,i il cui movente politico diretto non è stato appurato, gli sono valsi due condanne a vita per un totale di 212 anni. Per qualcuno però Eugene de Kock rimane un capro espiatorio, un detenuto simbolico, un pentito che espia un mezzo secolo di razzismo istituzionalizzato a nome di tutti i responsabili di orrori commessi sotto l’apartheid e mai puniti. La sua storia ha dato anche spunto ad una rappresentazione teatrale, “A human being died that night” (un essere umano è morto questa notte) di Nicholas Wright, tratta dal libro scritto dallo psicologo che lo ha interrogato in prigione, Pumla Gobodo-Madikizela. Quanta parte di verità e umanità nei suoi rimorsi?

Nel Luglio del 2014, l’ultima volta che gli era stata rifiutata la libertà vigilata, il Ministro della Giustizia Masutha aveva dichiarato che de Kock “aveva senza dubbio fatto molti progressi in prigione”. Per la famiglia di Phemelo Moses Nteheland, picchiato e strangolato a Vlakplaas nel 1989, de Kock rimane “un selvaggio” che deve “marcire in prigione”. Queste le parole del cognato di Phemelo dette lo scorso Dicembre durante l’inumazione dei resti dei quest’ultimo, gettato in un buco alla frontiera con il Botswana. De Kock è stato amnistiato per la morte di Phemelo, un “askari” (agente doppiogiochista), impegnato in un primo tempo nella lotta armata anti-apartheid, poi catturato e costretto a cooperare con la polizia fino alla sua morte. “Come esseri umani, abbiamo una  propensione naturale a designare dei capri espiatori”, afferma Mike Batley, direttore del Centro per la Giustizia riparatrice. “Cerchiamo un colpevole e penso che sia quello che è stato a lungo fatto in questo caso”. Questa argomentazione era stata portata avanti anche da de Kock nella sua richiesta di libertà vigilata dello scorso anno. “Sono l’unico membro della polizia sudafricana che sconta una pena per i crimini commessi dal Partito nazionale (al potere dal 1948 al 1984) nel suo impegno a mantenere il regime di apartheid”, ha più volte sottolineato l’ex squadrista. Ha sempre affermato aver agito per ordine di superiori, ponendo il problema della responsabilità dell’alta gerarchia militare e politica dell’apartheid. Il contesto nel quale ha commesso i suoi crimini non esiste più. Molti si chiedono perché allora in prigione ci sia solo lui. La spiegazione sta forse nelle parole di Verne Harris, direttore della ricerca alla Fondazione Mandela: “portiamo questo enorme fardello della collera del passato. La gente pensa che i conti con quel passato non siano ancora stati pagati”. La liberazione di de Kock porta a riflettere su coloro che sono scampati alla giustizia, ma il non liberarlo avrebbe tradito gli ideali del “nuovo” Sudafrica.

I sudafricani erano divisi sulla sorte da riservare all’ex capo dello squadrone terrorista:  boia senza scrupoli o capro espiatorio? Se Eugene de Kock è stato liberato, è anche perché ha continuato a fornire alle autorità informazioni sulle vittime scomparse, così come sui suoi superiori sotto l’apartheid, anche se, contrariamente a quello che era stato promesso dal Governo dell’epoca, i responsabili  che non hanno in nessun modo accettato di ammettere le loro responsabilità nei crimini del vecchio regime, non sono mai stati perseguiti dalla legge. Un quarto di secolo dopo la fine dell’apartheid, le ferite della Nazione Arcobaleno non sono neanche lontanamente rimarginate. Molto apprezzati all’estero, i lavori della Commissione Verità e Riconciliazione che dovevano saldare i conti con il passato, hanno lasciato un retrogusto amaro. Ci sono ancora migliaia di vittime che non sanno cosa ne sia stato dei loro cari e soprattutto chi sono gli autori di questi crimini, come si può pensare di riconciliare un Paese  se queste persone non riescono ad avere giustizia? Come de Kock, ci sono altri esecutori di crimini razziali ancora in prigione in Sudafrica. Qualcuno verrà liberato, qualcuno no, ma sono tutti pesci piccoli. Rimane la questione del come giudicarli, ad anni di distanza, e soprattutto che fine hanno fatto i mandatari veri? I grandi capi? Il Sudafrica non ha voluto fare un processo sullo stile di Norimberga, ma ha scelto la via della riconciliazione. In realtà nessuna delle due scelte avrebbe mai portato a piena soddisfazione sul dolore. Inoltre, molti archivi sono stati distrutti dal regime bianco alla sua caduta rendendo ancora più difficile la ricerca delle verità nascoste.

La riconciliazione nazionale rimane una sfida delicata e difficile in Sudafrica, un Paese che tra l’altro non se la passa bene neanche economicamente. Nel 2014 la crescita è stata molto debole, il deficit della bilancia commerciale elevato e la disoccupazione sta raggiungendo proporzioni allarmanti (cifre ufficiose parlano del 40% della popolazione e del 70% dei giovani). Il delicato equilibrio che si è creato è sempre più precario, le tensioni sociali aumentano,  la liberazione di un de Kock  potrebbe rianimare fuochi mai spenti. L’aurea di Madiba sembra essersi affievolita.

©Futuro Europa®

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