Chiarazzo: SocialRadio, boom di condivisione e partecipazione

Lo scorso settembre è nato a Roma SocialRadioLab.it, il primo laboratorio-community online di professionisti radiofonici e comunicatori dedicato all’informazione, ricerca e condivisione sull’evoluzione della comunicazione radiofonica. Abbiamo intervistato Stefano Chiarazzo, ideatore del progetto, che ci ha illustrato il fenomeno con numeri e best practice italiane alla mano.

Ci racconti come è nato il progetto SocialRadioLab.it e quali sono le sue peculiarità?

Tutto è incominciato tre anni quando ho lanciato “Social Vip”, un osservatorio sui vip che mi ha portato a parlare con molti speaker radiofonici. Così ho scoperto che le radio sono molto più avanti delle televisioni in materia di social media; eppure, nonostante si tratti del secondo medium per tasso di penetrazione (83% circa); se ne continua a parlare poco. Per questo motivo ho deciso di creare SocialRadioLab.it

Rispetto alla “scatola magica”, la radio è percepita come molto intima, grazie alla sua capacità di creare un rapporto. Le persone s’innamorano letteralmente di una stazione radio o di un suo programma (pensiamo per esempio al caso dello “Zoo di 105” di Radio 105), mentre al contrario con la televisione non scatta questo stesso meccanismo di affezione. Quando si parla di web, il punto di forza delle radio è proprio questo: sui canali social e in generale online si ritrovano quelle stesse community di ascoltatori fidelizzati. In tal scenario il progetto Social Radio si propone l’ambizioso intento di osservare e studiare queste nuove modalità di comunicazione integrata.

Com’è cambiata la fruizione della radio?

La comunicazione radiofonica non è più solo ascolto (oltre alla tradizionale radiolina o autoradio, c’è anche per esempio il digitale terrestre e lo streaming con app mobili dedicate), ma anche approfondimento. Oggi i portali web delle stazioni radiofoniche non sono “siti vetrina”, ma siti di contenuto dove si trova tutto e di più tra cui i blog degli speaker, le classifiche, le web radio tematiche e verticali, le news, l’intrattenimento, il dietro le quinte e i podcast da scaricare. L’avvento dei social e delle community ha facilitato questo processo: basti pensare che il 100% delle radio ha un sito internet e una pagina Facebook, il 95% è su Twitter, il 77% su YouTube, il 59% su Instagram e il 54% su Google Plus. Tra i canali è in crescita anche l’utilizzo di WhatsApp (22%, in affiancamento agli SMS tradizionali) e di Spotify (18%) con le playlist personalizzate.

Quali sono le potenzialità delle social radio?

Il web 2.0 aiuta le radio a creare sinergie e convergenze comunicative: si viene a creare un circolo vizioso tale per cui l’emittente genera un contenuto che può tornare utile per la programmazione e che per sua natura genera conversazioni sui social networks (un esempio per tutti: i sondaggi lanciati dagli speaker per chiedere ai telespettatori d’interagire e inviare le proprie domande da leggere nella diretta). L’obiettivo è in tutti casi prolungare la vita del medium, rendere olistica l’esperienza di consumo nei confronti della propria radio preferita, entrare nella vita quotidiana degli ascoltatori. Il risultato è un’esplosione di condivisione e partecipazione.

Esistono delle “controindicazioni”?

Alcuni pensano che, con i social, si perda un po’ della magia della radio. Prima dell’avvento dei canali tematici, dei siti internet e dei social network, ci si poteva concentrare solamente sul suono; oggi non è più così e non è detto che quello che si scopre sia necessariamente piacevole. La faccia di un deejay può deludere, cambiando l’immagine mentale che si aveva costruito. Su tale aspetto, ciascuna radio cerca di trovare un bilanciamento: alcune per esempio decidono di non mostrare alcune cose perché magari fanno parte dell’immaginario collettivo, sono delle convinzioni consolidate o semplicemente per non abbastanza capacità economiche ed editoriali per farlo (social e sito internet richiedono la costanza e le capacità per gestirli).

Strategie diverse anche sui social networks?

Esattamente. RDS ad esempio è più una radio di flussi, trasmette tanta musica e ha quindi minori contenuti da “replicare” online. Queste caratteristiche la rendono molto più da Twitter: veloce l’intervento o la news da segnalare, veloce il tweet. Radio Italia è, invece, la stazione italiana che vanta il maggior numero di fan su Facebook (oltre 2 milioni e 200mila fan). Sul social di Zuckerberg è molto forte anche Radio 105, superata proprio da una delle sue stesse creature, Lo zoo di 105 (più di 10 milioni di interazioni nel 2013; dati Blogmeter). Questo fenomeno di polarizzazione e iper-segmentazione in funzione del mezzo è visibile anche in Radio Montecarlo, che per la sua strategia di social media management sta puntando molto su Instagram (oltre 12.600 followers), dove pubblica immagini del Principato di Monaco, belle, aspirazionali e perfettamente in linea con il suo target abituale.

Radio Deejay registra invece ottime performance sul suo internet, dove si trovano contenuti alla Vanity Fair – tra cui anche i blog aggiornati dei vari deejay. Radiodeejay.it registra numeri da portale (circa 80mila visite in un giorno medio; dati Audiweb di luglio 2014) grazie all’affiliazione con L’Espresso. Lo stesso dicasi per M2O, sempre Gruppo Espresso, che ha da poco rilanciato il sito integrando con LaRepubblica.it e con gli altri “fratelli”. Tra i canali che generano interazioni ci sono anche gli eventi su territorio. Sulle orme del successo del programma condotto dal giornalistica Vittorio Zucconi, Radio Capital ha organizzato lo show in tour Tg Zero, mentre Radio Italia è ormai famosa per il mega concertone in piazza Duomo, Radio Italia Live.

E in questo panorama come si inseriscono le web radio e le piccole emittenti locali?

Le web radio sono in forte crescita. La tecnologia però da sola non basta; ci vogliono anche soldi, risorse e competenze se no il flop è dietro l’angolo. Ci sono comunque molti esperimenti interessanti, come Casa Bertallot, che porta il nome del suo creatore e che è recentemente apparso anche su Wired.it come best practice di successo. Per monitorare gli ascolti di Casa Bertallot e simili è addirittura nato un meccanismo di rilevazione specializzato.

Quanto alle radio locali, si stanno muovendo bene – in alcuni casi anche in modo più agile rispetto ai grandi network nazionali. Nel nostro osservatorio teniamo monitorate le 22 radio più ascoltate d’Italia – tra cui ci sono anche quelle regionali, con una media che va dai 300mila al milione di ascoltatori. Tra queste c’è Radio Bruno, romagnola, che propone contenuti divertenti e Radio Globo, romana (26 milioni di visualizzazioni sull’omonimo canale YouTube), che ogni estate sforna video virali come “Il pulcino pio” (80milioni di visualizzazioni).

Qual è il ruolo del social media manager in radio?

Come già sottolineato, molto dipende dalle disponibilità economiche e dai contenuti prodotti da riutilizzare, ma anche dalla policy, dalla filosofia editoriale e dalla cultura aziendale. In alcuni casi lo speaker è responsabile della creazione dei contenuti e della moderazione dei commenti (accede come amministratore alla pagine Facebook aziendale per fare live-posting); in altri il ruolo del social media manager viene spezzettato tra varie funzioni: la strategia viene curata dal team web, mentre la scelta dei contenuti viene demandata agli autori o integrata nel marketing (ad esempio per la definizione di comunicazioni promozionali). In generale, al di là delle specificità del singolo caso, il messaggio da trasmettere è che anche in radio non ci si può improvvisare social media manager, ma bisogna avere le giuste competenze per farlo, per cavalcare l’engagement, per tenere alte le conversazioni e, infine, per gestire gli episodi di crisis management.

©Futuro Europa®

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