Salva Roma, assalti e contrassalti

Una brutta figura per il Governo. Il decreto Salva Roma non sarà convertito in legge. La decisione è maturata dopo un consulto tra il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, e il premier Enrico Letta. “Troppi emendamenti”, secondo il Capo dello Stato, per un decreto che era nato al fine di iniettare denaro fresco nelle casse di Roma – circa 800 milioni – evitando così il crack, ma che alla fine del passaggio parlamentare si è appesantito con una miriade di commi. Tanti, troppi, al punto da stravolgere il senso stesso del decreto.

L’assalto alla diligenza è fallito. Oltre ai soldi per la capitale, alla fine del percorso tra le due Camere, il decreto si era arricchito di 10 articoli e ben 90 commi. Venti milioni pronti per tappare i buchi del trasporto pubblico calabrese, ventitré per i treni valdostani, un milione per le scuole di Marsciano, in Umbria, fino ai 500mila euro per il comune di Pietralcina, quello di Padre Pio. Ma non finisce qui: un milione per il restauro del palazzo municipale di Sciacca, mezzo milione per la torre di Porto Palo in Sardegna, un milione a Frosinone, tre a Pescara e venticinque a Brindisi. L’elenco sarebbe ancora lungo, includeva anche una minisanatoria per i chioschi sulle spiagge e i fondi per il terremoto dell’Emilia Romagna.

Per mettere una pezza al pasticcio istituzionale c’è stato bisogno di un altro decreto, il Milleproroghe, approvato il 27 dicembre. Il Comune di Roma avrà “solo” 400 milioni di euro per tamponare l’emergenza di bilancio; varate anche misure contro gli affitti d’oro – che tanto hanno fatto discutere nelle scorse settimane – e che dovrebbero alleggerire il peso economico delle locazioni che lo Stato paga per gli immobili messi a disposizione di deputati e senatori. Insomma, misure urgenti e straordinarie, proprio come quelle che dovrebbero essere contenute in un provvedimento varato dall’esecutivo.

“Il presidente della Repubblica si è svegliato oggi dopo otto mesi in cui ha firmato decreti omnibus con cui si reiterano le norme di decreto in decreto”, ha commentato il vicepresidente della Camera, il grillino Luigi Di Maio. “Se finalmente il Capo dello Stato mandasse indietro i decreti incostituzionali, si passerebbe dalle parole ai fatti”. E che il decreto legge debba essere uno strumento legislativo per “misure urgenti”, lo pensa anche la governatrice del Friuli Venezia Giulia, la democratica Debora Serracchiani: “La decretazione d’urgenza deve tornare dentro l’alveo nel quale è nata, non se ne può abusare” e riconosce che “il governo ha fatto uno scivolone sul Salva Roma, difficile non riconoscerlo”. Sulla stessa lunghezza d’onda anche il senatore forzista, Lucio Malan: “Il richiamo del Capo dello Stato sul caos nei decreti legge, ben più che ai regolamenti e al presidente del Senato, andrebbe rivolto al governo che vara decreti gravemente eterogenei sin dall’inizio”.

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