Siria: tante, troppe forze in campo

La guerra in Siria, che vedeva ai suoi esordi nel 2011 il regime di Bachar al-Assad contrapporsi a gruppi di oppositori armati ben definiti, nel giro di 4 anni è diventata una babilonia, soprattutto dopo che lo Stato Islamico è diventato una vera e propria potenza. E la situazione non sembra semplificarsi per via delle continue variabili che vanno ad aggiungersi ogni ora alla soluzione del problema.

L’esercito siriano, che all’inizio del conflitto contava su 300.000 uomini, ha visto da allora i suoi effettivi dimezzarsi a causa dei decessi, delle defezioni e delle renitenze. Ha perso due terzi del Paese, caduto in mano all’Isis o dei ribelli islamisti del Fronte al-Nosra, ramo siriano di Al Qaeda. Il territorio che controlla è tuttavia di estrema importanza strategica perché comprende Damasco, Homs e Hama al centro, il litorale e parte di Aleppo, regioni dove vive il 50% della popolazione ancora presente in Siria. Molti pensano  che questo risultato  sia frutto della strategia di Assad, che per lungo tempo ha risparmiato l’organizzazione jihadista per meglio affermarsi agli occhi del mondo come unico baluardo possibile di fronte al terrorismo. Una strategia che sembra oggi vincente. L’Isis ora sembra fare più paura di Assad, ed è la priorità dell’Occidente. Ormai in molti pensano (ma non lo dicono) che non si può considerare  un’operazione militare in Siria, senza un minimo di coordinamento con le autorità siriane. La Guerra  sta prendendo un nuovo corso. Appoggiata da un’importante offensiva aerea della Russia, il regime di Bachar al-Assad rialza la testa. Esangue dopo più di quattro anni di guerra, il suo esercito non potrà avanzare sul terreno che con l’aiuto dei suoi alleati – Hezbollah libanesi, Iran, Irak. In questo Paese in mille pezzi, dove le coalizioni assemblano di fatto centinaia di gruppi di combattenti mossi da motivazioni spesso molto locali, la guerra durerà ancora per molto tempo, continuando a sradicare la popolazione . A meno che il gioco di Mosca acceleri la ricerca di una soluzione diplomatica.

Ma chi sono questi gruppi? Tra le fila dei combattenti locali anti-regime, il Fronte al-Nosra, ramo siriano di Al-Qaeda è il più importante gruppo jihadista in Siria dopo il suo rivale, l’Isis. Guidato da Abou Mohammad al-Jolani , è alleato a gruppi di ribelli nelle provincie d’Idleb (nordovest) e Aleppo (nord). E’ presente anche nei pressi di Damasco e nel sud. Di peso è anche Ahrar al-Sham (Gli uomini liberi di Siria) nato nel 2011. Secondo gli esperti il gruppo è finanziato da alcuni Paesi del Golfo e dalla Turchia. E’ radicato soprattutto nel nord e nella regione di Damasco. D’ispirazione salafista, ha tentato nel 2015 di presentarsi come moderato agli occhi degli occidentali. Questi due gruppi fanno parte, insieme ad altri gruppi di ribelli meno importanti, dell’”Esercito della conquista” creato nel 2015. Finanziato dai Paesi del Golfo, ha cacciato l’esercito dall’intera provincia di Idleb. L’Esercito Siriano Libero (ASL), nato dai disertori dell’esercito regolare siriano, è stato per un periodo il primo gruppo ribelle di peso e primo interlocutore dell’occidente per via della sua impronta moderata d’ispirazione laica e nazionalista. Ha poi però patito molto la debolezza degli aiuti promessi dall’Occidente, sfaldandosi in tanti gruppuscoli più piccoli come Jaich al-Islam, il più importante gruppo ribelle della regione di Damasco a cui capo troviamo Zahrane Allouche, un islamista e il Fronte del Sud, che raggruppa eserciti non islamisti che hanno conquistato parte della provincia di Deraa (sud). Il gruppo meglio organizzato, il più ricco e temuto per via delle atrocità commesse è l’Isis che ha conquistato dalla sua dirompente entrata nel conflitto nel 2013 la metà del territorio siriano. Guidato da Abou Bakr al-Baghdadi, forte di migliaia di uomini, combatte contro il regime, al-Nosra, gli altri ribelli e i Curdi. I Curdi sono presenti nel nord e nordest dove difendono loro stessi le loro zone dopo il ritiro del regime dalle loro regioni. Sono sicuramente la forza anti-Isis più efficiente. Beneficiando dal 2012 di una relativa autonomia nei tre cantoni curdi del nord (Afrin, Kobane,Qamishli) in cambio di un patto tacito di non aggressione con l’esercito regolare, i curdi possono contare, a differenza degli altri ribelli, sul sostegno della coalizione. Questo vantaggio gli ha permesso di infliggere peranti perdite all’Isis. Si sono ripresi Kobane e la città strategica di Tall Abyad, alla frontiera turca. Sono un caso un po’ particolare perché l’obbiettivo curdo in Siria non è la caduta di Assad, ma il ricongiungimento delle tre regioni che possiedono e ottenere così l’autonomia di un vasto territorio a nord del Paese.

Al di là della Siria, l’intervento russo provoca altre rotture. L’impiego di missili da crociera apre vecchie ferite: l’immagine dei bombardamenti americani sull’Irak di Saddam Hussein negli anni ’90 e 2000. L’equilibrio strategico in Medio oriente si è trovato modificato, soprattutto da quando Mosca ha siglato una stretta alleanza con l’Iran. L’asse Mosca-Teheran sostituisce l’asse Washington-Riyad che caratterizzava la regione dalla Seconda Guerra Mondiale e gli Stati Uniti non sembrano aver fretta nel rispondere: Barack Obama rimane convinto che ha più da perdere che da guadagnare in questo caos. La visione molto americana di una rappresentazione del mondo che non è conforme alla realtà, ma che è conforme a ciò che vorrebbero vedere ha fatto ancora una volta commettere molti errori all’Amministrazione, che ha ormai gli occhi rivolti ad Est. L’Iran si sa, è da sempre il principale alleato regionale della Siria. La repubblica Islamica giudica di vitale importanza la sopravvivenza del regime siriano alawita (setta nata dallo sciismo) per mantenere l’asse sciita Teheran-Baghdad-Damasco-Beirut, frutto di 36 anni di politica estera che gli garantirebbe l’accesso al Mediterraneo e che definirebbe la sua potenza territoriale nei confronti del grande rivale, l’Arabia Saudita sunnita. I detrattori della repubblica Islamica temono che una vota scongelati i fondi grazie agli accordi siglati sul nucleare che metterebbero fine alle sanzioni, Teheran aumenti il suo aiuto ad Assad. Fatto sta che è in queste ore dato tra i “vincitori” di questo braccio di ferro. Anche la Russia è un’alleata di grande peso del regime. Come abbiamo già detto, ha cominciato a lanciare le sue prime operazioni militari via aria e nelle ultime settimane non ha mai cessato di rafforzare la sua presenza, organizzando una sua base aerea all’aeroporto di Lattaquié (ovest) e inviando aerei da combattimento, sistemi di difesa aerea e attrezzature moderne, di cui una parte è riservata al regime. Secondo la stampa russa, almeno 1.700 soldati sono stati mobilitati per i rinforzi. Secondo quella occidentale, oltre a bombardare siti Isis, la sua offensiva toccherebbe quei gruppi di ribelli anti-regime che ostacolano la “riconquista” territoriale del Presidente.

Indebolito da una serie di rovesci militari, il Presidente siriano sta risalendo la china grazie all’appoggio indefettibile di Russia e Iran, e soprattutto all’indecisione degli Occidentali. Washington, Londra, Berlino e Parigi stessa non  sembrano più porre come condizione necessaria a una qualsiasi trattativa la sua partenza. Secondo Karim Bitar, direttore di ricerca all’Istituto di Relazioni Internazionali e Strategiche di Parigi “la temporanea vittoria di Pirro del regime di Assad viene dalla buona, vecchia, cinica realpolitik. In effetti i russi e gli iraniani sono molto più coinvolti degli Occidentali: sono mobilitati, inflessibili e intransigenti, mentre gli oppositori al regime di Assad non hanno una strategia chiara e pagano a caro prezzo i loro metodi sbagliati. I bombardamenti della coalizione guidata dagli americani e che raggruppa il Canada, la Turchia (nonostante i molti punti poco trasparenti di questa alleanza controversa), l’Arabia Saudita, il Barhein, la Giordania e gli Emirati Arabi Uniti non hanno neutralizzato l’Isis malgrado qualche piccolo successo. Per ora colpisce solo la sua incapacità nel colpire.

E’ chiaro che alla luce di questo quadro, la confusione è tanta e gli attori troppi. Oggi il presidente siriano Bachar al-Assad sta riacquistando forza grazie all’appoggio ineluttabile della Russia e dell’Iran, ma soprattutto grazie all’indecisione degli Occidentali .

©Futuro Europa®

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