Cuba, fine di un’illusione

Per più di mezzo secolo, la rivoluzione cubana è stata una fonte di ispirazione per la sinistra, in America Latina e nel resto del mondo. Che Guevara è diventato un idolo di cui non si discute, e neppure si conosce, la effettiva realtà (fatta di generose illusioni e sacrificio personale, ma anche di prevaricazione e di errori colossali; e pochi osano ricordare che alla fine aveva praticamente rotto con Fidel Castro, che lo aveva completamente emarginato dalla vita politica cubana, costringelo a dedicarsi a oscure guerriglie lontane). La sua immagine compare in poster e magliette come quella di una stella del rock o del calcio, più per una moda sfruttata commercialmente che per vera convinzione (che c’entra il rivoluzionario argentino con i nostri figli di papà?).

Fidel Castro è riuscito per qualche sua magia a non identificarsi con i tanti dittatori apparsi nel mondo nel secolo XX e a non subirne il rigetto. Anzi, è stato, ed in parte rimane, un riferimento per tanti ingenui della sinistra radicale, una specie di padre, anzi di nonno saggio e benevolo, di patriarca di tutti quelli che aspirano alla giustizia sociale. Eppure il suo regime, nonostante i buoni propositi iniziali, si è trasformato via via in un regime repressivo, dove libertà e diritti umani sono stati sistematicamente repressi. Anche dal punto di vista economico il cinquantennio castrista ha significato un disastro. Basta passare qualche giorno a L’Avana per rendersi conto che, appena appena dietro la facciata dell’eguaglianza sociale e magari di qualche buona iniziativa culturale, la gente comune vive nello stesso stato di arretratezza e penuria in cui hanno vissuto per decenni gli abitanti dell’URSS e degli altri regimi socialisti, accomunati tutti dall’economia pianificata e di Stato, rivelatasi dovunque una catastrofe totale. Se Cuba sotto Castro non fosse stata un Paese povero e di polizia non si spiegherebbero le centinaia di migliaia di cubani che sono fuggiti, riparando in genere a Miami.

Fidel Castro è riuscito a far dimenticare in parte questa tremenda realtà, a far trascurare anche ai più entusiasti corifei della libertà il fatto che nelle carceri dell’Isola ci sono ancora migliaia di detenuti politici e che ancora oggi centinaia di persone scappano ogni giorno alla ricerca di una vita degna. È riuscito anche a occultare la corruzione che dilaga nel Paese, i privilegi di cui gode la classe dirigente (Castro compreso, la cui vita personale non è certo modesta), la tragica alienazione di tanti, cose tutte che testimoniano largamente anche scrittori cubani che il regime ha finora preferito non castigare, come Padura. Ogni suo libro è una condanna sottile ma spietata del regime che, senza raggiungerne il livello letterario, ricorda Soljenitsin. Come ha potuto Fidel Castro compiere questo trucco di magia? Creandosi un nemico, l’imperialismo yankee e addossandogli tutte le colpe della terra. Solo così è riuscito a mantenere mobilizzati suoi seguaci e mantenere un seguito anche in Paesi latinoamericani, non solo il Venezuela del dittatorello Chavez, ma anche della democratica Argentina e del democraticissimo Brasile.

Ora, però, l’illusione è finita. Obama, con una decisione di grande intelligenza politica, aiutato da Papa Francesco (di cui non si può negare una certa benevolenza per i regimi populisti) ha deciso di tagliare l’erba sotto i piedi a una lunga impostura. Ma la sua apertura sarebbe caduta nel vuoto (anzi, non ci sarebbe mai stata) se il momento a Cuba non fosse propizio a un cambiamento di rotta. Cambiamento che non dipende solo dal passaggio del comando da Fidel a Raul Castro, ma dalla situazione ormai insostenibile in cui versa l’economia dell’Isola. Questa è stata sempre, in qualche misura, artificiale. Si è retta per molto tempo sugli aiuti sovietici e di altri Paesi dell’Est, poi sulla stampella offerta da Chavez. Ma tutto questo è finito, i Russi non fanno regali a nessuno e il Venezuela è in grave crisi finanziaria per il calo del prezzo del petrolio. Cuba ha bisogno dell’ossigeno occidentale e sopratutto americano: deve ritornare a esportare negli Stati Uniti e a ricevere i dollari del turismo. All’interno, ha assoluto bisogno di dare respiro all’economia attraverso l’inevitabile privatizzazione almeno di una parte delle attività, a cominciare da quelle commerciali, anche per attirare gli indispensabili investimenti dall’estero.

Raul Castro ha intrapreso questo cammino. Vedremo fino a che punto potrà condurlo senza far saltare tutto (come accadde, su scala ben diversa, a Gorbaciov). Naturalmente, quella parte della nostra sinistra che ha guardato a Cuba con confessato affetto, si guarderà bene dal riconoscere una realtà evidente: la svolta cubana costituisce l’ammissione di un fallimento, il fallimento di ogni tentativo di sostituire lo Stato ai privati, di irreggimentare un popolo intero nella gabbia di un’utopia disgraziata, e illudersi così di regalargli un’impossibile felicità.

©Futuro Europa®

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