
Camera di Consiglio
IL PRINCIPIO DI PROPORZIONALITA’ NELLA DEFINIZIONE DELL’ASSEGNO DI MANTENIMENTO – Il caso in esame trae origine da un ricorso da parte di un padre a seguito di quanto statuito in sede di scioglimento del matrimonio circa il quantum del contributo al mantenimento da versare all’ex coniuge in favore della figlia minore.
In particolare, veniva previsto a suo carico la corresponsione della somma mensile di Euro 600,00, oltre al pagamento del 50% delle spese straordinarie, a fronte di uno stipendio di Euro 1.400,00 mensili.
Il padre spiegava appello, sostenendo che il primo Giudice non avesse tenuto conto del principio di “proporzionalità” di cui l’articolo 337 ter comma 4 c.c., il quale prevede che “salvo accordi diversi liberamente sottoscritti dalle parti ciascuno dei genitori provvede al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito” e che il Giudice deve stabilire, ove necessario, la corresponsione di un assegno periodico “ai fini di realizzare il principio di proporzionalità, da determinare considerando 1) le attuali esigenze del figlio; 2) il tenore di vita goduto dal figlio in costanza di convivenza con entrambi i genitori; 3) i tempi di permanenza presso ciascun genitore; 4) le risorse economiche di entrambi i genitori; 5) la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore”.
In particolare, l’uomo deduceva come una corretta lettura delle dichiarazioni dei redditi dell’ex moglie avrebbe consentito di appurare la sussistenza di una posizione economica ben più florida della propria. Il padre, invero, aveva visto ridurre in modo significativo i propri redditi dopo aver dismesso la qualità di socio dell’impresa familiare per assumere quella di dipendente subordinato della società medesima, attesa la propria necessità di percepire una retribuzione fissa rispetto a quella incerta riconnessa alla mera qualità di socio, anche alla luce della nota crisi che aveva colpito il settore dell’attività.
La Corte d’Appello, tuttavia, rigettava il ricorso, ritenendo del tutto irrilevanti le intervenute modifiche peggiorative dei suoi redditi. L’uomo, dunque, ricorreva per Cassazione, lamentando, ancora una volta, la mancata applicazione del principio di “proporzionalità” di cui all’art. 337 ter c.c., che sancisce la necessità di una corretta valutazione comparata dei rapporti economici e patrimoniali di entrambi i genitori: appariva evidente che la corresponsione della somma di Euro 600,00 mensili per il mantenimento della figlia, era di per sé manifestamente eccessiva non solo rispetto allo stipendio paterno, ma soprattutto se raffrontato ai ben maggiori redditi mensili prodotti dall’ex moglie. La Suprema Corte riteneva il ricorso fondato.
Invero, l’uomo aveva già invocato una verifica della proporzionalità parametrata ai reali redditi tra i genitori, che avrebbe dovuto tener conto della mutata situazione di fatto, consistente nella percezione da parte del padre di uno stipendio fisso anziché di utili societari.
La Corte d’Appello, dunque, aveva errato nel ritenere “sommariamente di condividere un giudizio di irrilevanza sulle intervenute modifiche peggiorative dei redditi in quanto frutto di una “scelta unilaterale”, e non in quanto non incidenti sulla situazione reddituale delle parti cui la determinazione dell’assegno va – tra altre condizioni – parametrata in funzione di una sua proporzionalità come prevista dalla norma dell’art. 337 ter comma 4 c.c.”. Il ricorso veniva accolto e rinviato alla Corte d’Appello competente in diversa composizione.
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