I pugni sul tavolo

Siamo tornati in politica ai “pugni sul tavolo” di hitleriana memoria. Ne ha dato una dimostrazione il Presidente Trump al vertice dei G7. Basta vedere le fotografie per capirlo: da un lato lui, corrucciato, ottuso, dall’altra gli europei alla ricerca di un accordo qualsiasi. Accordo che pareva raggiunto, sia pure in termini generici, ma che poi Trump stesso ha brutalmente smentito, ritirando la firma degli Stati Uniti già avvenuta e per di più insultando il Primo Ministro canadese, cioè il Capo di Governo di un grande Paese vicino, amico e alleato. Il fatto è che Trump volta le spalle al multilateralismo, alla cooperazione occidentale e in particolare al G7, verso cui ha mostrato disprezzo. Per lui, gli alleati tradizionali sono inutili parassiti, capaci solo di “rubare nel salvadanaio americano” (parole sue) e si rifiutano di pagare per la loro difesa. Lui non capisce le buone maniere e il potere “soft”. A lui piace, da duro quale pensa di essere, giocare a poker con altri duri, Cina, Russia, magari la Corea del Nord, convinto di essere il più bravo e di poter ottenere il “good bargain” americano.

Di fronte a questo, che devono fare gli europei? Che deve fare l’Italia? Andare alla rottura? Con quali sponde alternative? Putin? La Cina? Questo è il limite oggettivo che condiziona le nostre reazioni alle prepotenze trumpiane. Nessun leader europeo, del resto (tranne forse Juncker nei suoi momenti di ebrietà) pensa seriamente a un conflitto con Washington, che avrebbe conseguenze devastanti per l’Alleanza Atlantica e per l’Occidente nel suo insieme. I principali dirigenti  hanno chiaro che l’Europa deve mostrarsi paziente, aperta al dialogo e al compromesso. Ma anche compatta e ferma sui principi essenziali.

E qui entra in gioco l’Italia, il cui ruolo può essere rilevante in bene e in male. Ma sulle intenzioni del nuovo governo pesano forti sospetti, non solo in Europa. Un articolo molto serio e dettagliato del Washington Post, naturalmente critico di Trump, indica a chiare lettere che l’Italia è incline a rompere il fronte europeo e quindi dare al  Presidente americano un indebito vantaggio. Mi auguro che il Premier Conte non si lasci abbagliare dalle pacche sulle spalle e dagli inviti alla Casa Bianca o sedurre dal miraggio di accordi separati USA-Italia. Forse è questo che Trump spera: una rincorsa degli europei in ordine sparso per assicurarsi vantaggi bilaterali, che farebbe esplodere l’Unione (un sogno che accumuna Trump e Putin). Essere aperti al dialogo va bene, ma senza mai dimenticare che  i nostri interessi veri e di lungo termine stanno in un’Europa unita e forte.

Il metodo dei pugni sul tavolo è caro anche al nostro Ministro dell’Interno. Nel triste caso dell’Aquarius, il governo socialista di Spagna ci ha insperatamente risolto il problema. Conte, correttamente, lo ha ringraziato. Salvini ha sconsideratamente declamato che alzare la voce paga, come se la decisione spagnola fosse frutto di intimidazione e non di generosità. Sparate queste che rendono inutilmente rissoso un dialogo pur necessario con l’Europa perché faccia la sua parte. Già l’avevano posto all’ordine del giorno, magari  non sbattendo abbastanza  i pugni sul tavolo. Se farlo serve, va bene, ma entro certi limiti, se no si rischia un terribile danno d’immagine.

Ma quello che conta è sapersi assicurare gli appoggi necessari. Speriamo che Conte li ottenga a Parigi e a Berlino. Macron  e la Merkel sono statisti seri e comprendono l’importanza di non perdere per strada l’Italia. Questa è la vera chiave del successo, non il mitico appoggio di Orban o l’abbraccio mortale di Marine Le Pen.

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