Tutto su mia madre (Film, 1999)

In periodo di Cannes viene spontaneo andare indietro con la memoria (e non solo) per rivedere i migliori lavori presentati al prestigioso concorso francese. Pedro Almódovar, per esempio, nel 1999, vinse il premio per la miglior regia con Todo sobre mi madre (Tutto su mia madre). Non contento, un anno dopo si aggiudicò l’Oscar come miglior film straniero, il Golden Globe e un’infinità di riconoscimenti minori.

Todo sobre mi madre è un film straordinario, melodramma iberico corretto in salsa di commedia grottesca, opera al femminile, arricchita con citazioni cinematografiche e letterarie. Un tram chiamato desiderio di Tennesse Williams è il filo conduttore della pellicola, che comincia con la morte di Esteban, figlio della protagonista, investito da un’auto mentre rincorre l’interprete principale del dramma per chiedere un autografo. Una sequenza che sembra citare Roma città aperta di Roberto Rossellini, con Anna Magnani falciata da una raffica di fucile mentre rincorre una camionetta. Dopo la morte del figlio, Manuela torna a Barcellona per ritrovare il marito, un transessuale che si fa chiamare Lola, lasciato per fuggire a Madrid dopo la nascita di Esteban. La donna sa che il marito avrebbe voluto vedere il figlio, se solo ne avesse immaginato l’esistenza. Non può sapere, invece, che ha messo incinta un’altra donna, contagiandola di Aids. Comincia la commedia grottesca con una passerella di personaggi almodovariani, un vero e proprio balletto di donne problematiche, lesbiche, transessuali, ricco di gustosi siparietti comici che interrompono la parte drammatica. Il film si basa su una sceneggiatura non convenzionale, ricca di eventi paradossali e intrighi bislacchi, che portano il segno dello stile inconfondibile del regista iberico.

Il personaggio di Agrado, un transessuale logorroico ed esibizionista amico della madre, è la trovata più geniale del racconto, ma anche la  ragazza sognatrice – interpretata da Penelope Cruz – che muore di parto è un’altra presenza interessante. Almódovar racconta i rapporti difficili tra genitori e figli, dipinge una borghesia vigliacca e inconcludente, critica il finto perbenismo, mette in primo piano transessuali e mignotte, ma non dimentica il teatro e il mondo dello spettacolo. Ottime le parti drammatiche interpretate da Marisa Paredes, protagonista di Un tram chiamato desiderio nella finzione scenica, che si inseriscono senza sbavature nella narrazione principale, condotta da un’ispirata Cecilia Roth. Una commedia di donne, come tradizione di Almódovar, permeata di melodramma, a metà strada tra comicità e tragedia, alternando la morte di una madre sieropositiva, gli sproloqui di un transessuale e le battute irriverenti delle attrici. Singolare la dedica: “A Bette Davis, Gena Rowlands, Romy Schneider… a tutte le attrici che hanno fatto le attrici, a tutte le donne che recitano, agli uomini che recitano e si trasformano in donne, a tutte le persone che vogliono essere madri. A mia madre”.

Il regista racconta una storia dove solo le donne sono importanti, perché il figlio muore adolescente e il marito non accetta la sua natura. Il personaggio di Agrado, interpretato da un’incontenibile Antonia San Juan, è la chiave di volta per leggere una storia trasgressiva, basata sulla poetica di una vita al femminile, senza inutili presenze maschili. Tecnica di regia perfetta, poetici piani sequenza, suggestive panoramiche di Madrid e Barcellona, dissolvenze oniriche e fotografia notturna dai contorni ocra. Ricordo e nostalgia sono in primo piano nelle parti drammatiche, accompagnate da una suadente colonna sonora di Alberto Iglesias. Un piccolo capolavoro che – come una bottiglia di vino buono – non invecchia mai abbastanza. Da rivedere nel tempo.

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Regia: Pedro Almodovar. Soggetto e Sceneggiatura: Pedro Almodovar. Fotografia: Alfonso Beato. Montaggio: José Salcedo. Musiche: Alberto Iglesias. Effetti Speciali: Antonio Molina. Produttori: Augustin Almodovar, Michel Ruben. Interpreti: Cecilia Roth, Marisa Paredes, Penelope Cruz.

©Futuro Europa®

[NdR – L’autore dell’articolo ha un suo blog “La Cineteca di Caino”]

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