Cronache dai Palazzi

Il presidente del Consiglio Matteo Renzi assicura il rispetto dei patti europei, anche se un rinvio del pareggio del bilancio al 2017 è sempre dietro l’angolo. Il sottosegretario Graziano Delrio, a sua volta, afferma che “in questo momento servono politiche per la crescita”, rigettando così “l’utilizzo della parola austerity”, dato che “serve più disciplina che rigore” sottolinea Delrio. Alla platea del Guildhall, in sintonia con David Cameron, Renzi ribadisce invece che l’Unione europea “deve cambiare, diventare più snella e più flessibile”, mentre rivolgendosi direttamente a Bruxelles e Berlino afferma: “Rispetto la decisione di un paese libero e sovrano come la Francia: nessuno può trattare gli altri paesi membri come si trattano degli studenti. Sono dalla parte di Hollande”. Renzi accetta il vincolo del 3% ma “proprio perché rispettiamo il 3%, non accettiamo che nessuno in Europa faccia il professore”, ammonisce Renzi con il pensiero rivolto alla politica fiscale di austerity adottata dalla Commissione europea e appoggiata dalla cancelleria tedesca.

“Il cambiamento in Italia è solo iniziato”, ha spiegato Renzi alla platea britannica. “Noi non stiamo salvando l’Italia stiamo cercando di darle una leadership”. Una leadership però contesa, soprattutto all’interno del proprio partito dove le correnti sono sempre più forti.

Tra dalemiani, bersaniani, lettiani, civatiani e renziani, prevale comunque la volontà, di tutti, di tenere i piedi ben piantati all’interno del Pd. Anche a proposito di Jobs act “si discute, si presentano gli emendamenti, ma poi si sta con il Pd”, assicura Pier Luigi Bersani. Niente strappi quindi, e i renziani applaudono di fronte alla notizia che Bersani promette “lealtà verso il partito e il governo”, sperando che il premier non ponga la fiducia e lasci al gruppo dei dem la libertà di presentare subemendamenti. Bersani dichiara però di non digerire “lo schiaffo ai sindacati”, definendolo “ingiusto”, e rimprovera al segretario-premier di prendersela con tutti – dalla minoranza dem ai magistrati – tranne che con Berlusconi, che “ha governato dieci anni”. Sull’articolo 18, infine, “assurdo presentare l’abolizione come la palingenesi”, afferma l’ex segretario aggiungendo: “E non mi si dica che l’imprenditore è libero di licenziare perché poi ci pensa lo Stato. Se un dipendente ti è antipatico te lo tieni, perché dietro c’è una famiglia”. E il Tfr in busta paga? “Andiamoci molto cauti, quando ci si mangia oggi le risorse di domani”.

A proposito di reintegro, i tecnici di palazzo Chigi stanno lavorando cercando di elaborare una soluzione sui licenziamenti disciplinari: il reintegro nel posto di lavoro sarebbe possibile ma non obbligatorio. Con le regole ancora valide, in caso di licenziamento disciplinare giudicato illegittimo dai magistrati, il reintegro è automatico. Solo il lavoratore può rinunciare al reintegro e accettare un indennizzo. Con l’ipotesi al vaglio del governo, invece, il datore di lavoro potrebbe decidere, autonomamente, anche se il lavoratore non è d’accordo, di sostituire il reintegro con l’indennizzo che risulterebbe però maggiorato rispetto a quello standard e aumenterebbe con l’anzianità di servizio del dipendente, applicando così il principio delle tutele crescenti che l’esecutivo vuole estendere all’intera legislazione sul lavoro. Una soluzione di questo tipo potrebbe essere compatibile con il documento votato nella direzione del Partito democratico che la squadra di governo si è impegnata a inglobare nel Jobs act, il disegno di legge delega all’esame del Senato. Il reintegro per i licenziamenti disciplinari sarebbe così salvo come chiesto dalla minoranza dem, ma potrebbe comunque essere superato con un’eventuale indennizzo come chiede invece Ncd, concretizzando quindi l’equilibrio tra la minoranza del Pd e i centristi del Nuovo centrodestra.

La partita che riguarda la riforma del lavoro è comunque ancora tutta da giocare, e ciò avverrà nelle prossime settimane. Le modifiche vere e proprie potranno concretizzarsi solo con le norme attuative che potranno essere emanate una volta approvato il Jobs act. In definitiva, i centristi ribadiscono la loro volontà di lasciare il ddl così com’è, mentre dalla minoranza pd Stefano Fassina dichiara: “Così com’è non lo voto”. Fassina (di concerto con Bersani) sottolinea inoltre che porre la questione di fiducia per tenere la maggioranza sarebbe di “dubbia costituzionalità”.

Al di là delle discussioni interne ai partiti, l’altissimo tasso di disoccupazione rappresenta “la nostra principale preoccupazione”, ha  sottolineato Napolitano di fronte all’intero Consiglio della Bce riunito a Villa Rosebery a Napoli. “Altissimo tasso di disoccupazione raggiunto nell’area euro e soprattutto in alcuni Paesi come l’Italia. Preoccupazione per il presente ma anche in una prospettiva più lunga”. Il numero uno dell’Eurotower, Mario Draghi ha invece rimarcato la necessità di marciare tutti verso il medesimo obiettivo sottolineando che “le priorità europee sono anche quelle dell’Italia”. Il problema non riguarderebbe le regole o l’agognata flessibilità. “Non dovremmo sederci agli opposti lati del tavolo come nemici. Ma dovremmo tutti sederci allo stesso lato del tavolo, con le nostre sfide – alta disoccupazione, bassa crescita e bassa inflazione – dall’altra parte”, ha ammonito Mario Draghi. In sostanza la coesione europea è un obiettivo possibile ma, a Roma come a Francoforte, occorre rivolgere i propri sforzi “al benessere delle persone e non ai parametri di formule astratti”, ha rimarcato il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco.

“Essere attendibili, credibili, è il nostro primo obiettivo”, ha ribadito il premier Renzi da Londra, ma “senza discontinuità in Ue rischiamo anni di stagnazione, dobbiamo mettere fine ad una fredda tecnocrazia europea”.

©Futuro Europa®

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