Cronache dai Palazzi

Senza riforme niente ripresa. Continuano gli ammonimenti dell’Ue sull’Italia, aggravati dagli ultimi avvertimenti del Fondo monetario internazionale che nel 2014 stima un calo dello 0,1 per cento del Pil italiano, per poi aspettarsi un debole segnale di ripresa nel 2015 (1,1 per cento in più).

“Tutti gli Stati membri hanno bisogno di riforme” – ha incalzato Jyrki Katainen di fronte alla plenaria del Parlamento europeo a Strasburgo – ma “in alcuni questo bisogno è particolarmente pressante”. Il commissario uscente agli Affari economici, e da novembre vicepresidente per la Crescita, gli investimenti e il Lavoro, ha ribadito che “senza l’effettiva attuazione delle riforme non ci sarà crescita e creazione di posti di lavoro”, mentre “rigidità e interessi di parte” limiterebbero un “ampio potenziale di crescita in Europa”. Rispetto al Jobs act renziano “attendiamo di conoscere i dettagli”, ha dichiarato invece il portavoce di Katainen Simon  O’Connor.

Da anni le istituzioni europee puntano il dito contro il mercato del lavoro italiano troppo frammentato e il contratto unico annunciato in questi giorni dalla squadra di Renzi sembra voler rimediare in qualche modo. Un  singolo contratto “porrebbe i lavoratori in una condizione più equa – spiega l’analisi del Fondo monetario internazionale – incentivando i datori di lavoro ad investire nel proprio staff”.

La battaglia sul lavoro nasconde comunque delle faglie insidiose, non solo tra le fila dei sindacati e all’interno del dibattito tra maggioranza e opposizione (con FI che rivestirebbe il ruolo di sentinella delle riforme), ma anche all’interno dei singoli partiti, il Pd in testa dove si annidano antichi ma rivitalizzati covi antirenziani pronti a difendere il diritto dei lavoratori a non essere licenziati.

Il contratto a tutele crescenti inaugurato dal ministro Poletti non convince tutti i democratici, anche se Renzi mira ad inchiodare il partito sulla riforma delle riforme che dovrebbe sbloccare il Paese e sorprendere l’Europa. Il dibattito si concentra sul superamento dell’art.18 e dall’interno del Pd Bersani critica l’intervento del premier per decreto sullo Statuto dei lavoratori. Renzi, a sua volta, ribadisce che l’obiettivo del governo è “superare le rigidità del mercato e la divisione tra lavoratori di seria A e serie B”, per di più, aggiunge il premier, “che tu abbia lavorato in un’azienda che abbia più di quindici dipendenti o meno, devi avere le stesse garanzie”.

In pratica la norma depositata in commissione al Senato mira a fare il punto su uno degli aspetti nevralgici del ddl delega sul lavoro e anche se non si fa esplicito riferimento al superamento dell’articolo 18 si preme l’acceleratore proprio sul discrimine che oggi divide in due il mondo dei lavoratori, ossia il diritto al reintegro.

Le reazioni all’emendamento alla legge delega si differenziano in base all’appartenenza politica. Per Maurizio Sacconi (Ncd) la nuova norma comporta il superamento dell’art.18 per tutti i nuovi assunti: il lavoratore licenziato riceverà un indennizzo proporzionato all’anzianità. Per il presidente della Commissione Lavoro la mediazione politica si concretizza nell’applicazione della nuova norma solo ai nuovi contratti mentre non sono previsti cambiamenti per coloro che già oggi hanno un lavoro a tempo indeterminato. È dello stesso avviso Pietro Ichino di Scelta civica.  Per il presidente della Commissione Lavoro alla Camera, Cesare Damiano (Pd), invece, “da destra si fanno letture di bandiera”. Per Damiano la norma è incline a “molte interpretazioni” e annuncia una battaglia, capeggiata dai dem, a difesa dell’attuale normativa sui licenziamenti. Che il caso non sia assolutamente chiuso lo esplicita il ministro del Lavoro Giuliano Poletti: “Prenderemo una decisione quando faremo i decreti, ha dichiarato il ministro chiarendo che “da un punto di vista tecnico c’è un legame” tra le tutele crescenti menzionate nell’emendamento e l’articolo 18. Il governo dovrà in pratica chiarire in quali casi scatterà il reintegro. Potrebbe essere confermata la norma attuale oppure prevedere il reintegro solo, come suggerito da Ichino (Sc), “per i licenziamenti discriminatori o la rappresaglia antisindacale”. In sostanza lo scontro è destinato a proseguire.

Sul fronte istituzionale l’ennesima fumata nera per Consulta e Csm provoca l’ira del Capo dello Stato che per l’ennesima volta richiama i partiti all’ordine. Partiti – Pd e FI – impegnati anche nella revisione del sistema di voto, in particolare dell’Italicum. Renzi e Berlusconi (che da ora sembra si vedranno una volta al mese) hanno risiglato il Patto del Nazareno ma questa volta da Palazzo Chigi. L’ex Cavaliere ha posto il veto sull’elezioni anticipate e Renzi, a sua volta, sembra essere sempre intenzionato a raggiungere il traguardo dei “mille giorni”, Pericolo urne scongiurato quindi. I nodi duri da sciogliere sono sempre gli stessi: soglie di sbarramento; preferenze e liste bloccate; premio di maggioranza.

Il vero pomo della discordia è rappresentato dal quorum dell’8 per cento per le forze politiche che corrono in squadra; per intendersi la norma anti Sel e anti Ncd  che  sarebbero così costrette a coalizzarsi. Per quanto riguarda il rapporto tra elettore ed eletto, resta invece in piedi l’ipotesi dei capilista bloccati, mentre per gli altri candidati dovrebbe valere il sistema delle preferenze. Per evitare infine un eventuale ballottaggio occorrerà superare la soglia del 40 per cento, e su questo punto le trattative andranno avanti. Il premio di maggioranza potrebbe andare alla lista invece che alla coalizione, e qualora ciò si avverasse potrebbero cadere tutte le trattative sul 4 per cento per i partiti  che si alleano e sull’8 per cento per coloro che invece corrono da soli. Un’eventuale soglia unica per tutti, che potrebbe essere quella del 5 per cento indicata da Renzi, costringerebbe Sel e Ncd a rivedere i propri rapporti di forza – l’una con il Pd e l’altro con FI – ridisegnando così nuovi scenari. I pentastellati a loro volta risulterebbero avvantaggiati da un sistema siffatto e, molto probabilmente, non opporrebbero resistenza al Senato per bloccare un ddl di questo tipo.

I giochi sono ancora aperti e la riforma della legge elettorale dovrebbe essere “incardinata” in Commissione Affari costituzionali già dalla prossima settimana. Riforma che secondo la minoranza dem dovrebbe procedere di pari passo con la riforma del Senato. La minoranza del Partito democratico è inoltre pronta ad insistere su alcune modifiche: soglie, liste bloccate e parità di genere.

L’accelerazione sulla riforma del sistema di voto comunque non convince. Per di più la riforma interesserebbe solo la Camera dei deputati dato che la riforma del Senato è ancora in discussione. La preoccupazione politica di fondo, un pò di tutti i partiti, è rappresentata dalle elezioni anticipate (nel 2015), dato che alcuni esponenti di area dem (per lo più renziani) chiederebbero una riforma solo dopo i “mille giorni” di governo, indicati da Palazzo Chigi come il termine utile per portare a termine alcuni obiettivi fondamentali. Berlusconi, invece, ha più volte chiesto a Renzi rassicurazioni  sul fatto “che non si andrà alle elezioni anticipate”; Ncd, infine, teme di essere schiacciato dalla morsa Pd-FI.

Il “via libera” sulla nuova legge elettorale arriva anche dal Fondo monetario internazionale per il quale un nuovo sistema di voto “aiuta il sostegno e l’attuazione delle riforme”, ma l’istituto di Washington ricorda all’Italia anche il proprio debito pubblico, in salita nel 2014 (136,4 per cento rispetto al Prodotto interno lordo), e una spesa pubblica insostenibile, a cominciare dalle “grande spesa pensionistica” che sarebbe la più elevata d’Europa (circa il 30 per cento del totale).

Le spine dolenti che l’Italia deve necessariamente togliersi dal fianco non scompariranno di certo con l’approvazione dell’Italicum, anche se ben rivisto e rivisitato (più volte). Il debito pubblico in aumento, la riforma del lavoro che ancora deve produrre i propri frutti, i provvedimenti messi in campo per aggredire il carico fiscale, il cambiamento, per ora solo annunciato, della Pubblica amministrazione sono problemi così pesanti che l’obiettivo della nuova legge elettorale rischia di apparire uno specchietto per le allodole, per poi magari portare gli italiani definitivamente alle urne. Elezioni (anticipate o meno) che segnerebbero un’ennesima esperienza di governo caratterizzata da una lunga lista di promesse mancate.

©Futuro Europa®

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