Google & Co.: 500mld di capitali offshore

Secondo un recente sondaggio condotto dall’autorevole Financial Times, Google e altre 14 aziende americane avrebbero pagato il 25% in meno di tasse negli ultimi otto anni. Per avere un simile trattamento fiscale, queste multinazionali avrebbero trasferito quasi 500 miliardi di dollari al di fuori degli USA.

I nomi finiti nell’inchiesta del Financial Times sono quelli di Apple, Microsoft, Google, Pfizer, Cisco Systems, Oracle, Qualcomm, Johnson & Johnson, Merck, Amgen, Emc, eBay, Eli Lilly e Medtronic. Per loro il gettito fiscale risulterebbe inferiore alla media OCSE per via del sistematico trasferimento dei capitali in altri Paesi a regime più agevolato come Irlanda, Singapore e Bermuda. In particolare, il quotidiano britannico stima che i capitali complessivamente trasferiti all’estero sarebbero equivalenti a circa 500 miliardi di dollari, “più del cash di tutte le altre aziende Usa messe insieme”.

Così facendo le 14 multinazionali sopra menzionate avrebbero visto scendere il gettito fiscale a loro carico di 7,7 punti, arrivando all’attuale 10%. Per contro – precisa il Financial Times – la tassazione nei Paesi OCSE è al 25%, in diminuzione di 3,4 punti percentuali rispetto a qualche anno fa. Di fronte ad una tale differenza, è plausibile aspettarsi che la migrazione dei profitti continuerà ancora, soprattutto a considerazione del fatto che il regime fiscale degli Usa non è altrettanto favorevole sugli utili aziendali e penalizza il rientro dei capitali in patria con una tassazione del 35%.

Per questo Google & Co. avrebbero invocato una temporanea “tax holiday”, una sorta di moratoria fiscale che consenta di riportare il cash negli Usa sotto un regime un po’ più favorevole di quello altrimenti previsto. La questione se concedere o meno il benestare è ancora oggetto di dibattito: oltre ai costi economici (stimati in un minore incasso per il Governo americano di 96 miliardi di dollari), c’è infatti il timore che, sebbene di carattere eccezionale, la misura finisca per incoraggiare altre aziende a fare altrettanto, decidendo di trasferire i capitali all’estero.

Secondo lo US Joint committee of Taxation, il rischio è alla lunga di veder vanificati i vantaggi fiscali derivanti da una più favorevole tassazione, costringendo le aziende che mettono in pratica questa politica a richiedere prestiti agli istituti di credito nazionali perché impossibilitate ad accedere ai fondi esteri. Nell’attesa di conoscere quali saranno gli sviluppi futuri, anche la Commissione europea sta indagando sulla questione e in particolare su Apple, che dagli ultimi rilievi sarebbe l’azienda americana con più contante al di fuori del perimetro nazionale. L’esigenza condivisa con le autorità intercontinentali è di quella di definire normative più stringenti così da uniformare i trattamenti e garantire una maggiore trasparenza a tutti gli stakeholder coinvolti.

©Futuro Europa®

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