Il ferroviere (Film, 1956)

Il ferroviere nasce da un soggetto originale di Alfredo Giannetti, intitolato Il treno, adattato per il cinema dagli esperti Vincenzoni e Germi. Il regista ritaglia per sé la parte del protagonista e dà vita a una figura tormentata e coinvolgente di un ferroviere cinquantenne, in crisi familiare e lavorativa. Carlo Ponti avrebbe voluto Spencer Tracy nel ruolo principale, ma Germi decide di interpretare Andrea Marcocci, arrivando a minacciare l’abbandono della regia. Il ferroviere viene presentato a Cannes e a Berlino. Ottiene due Nastri d’Argento, mentre al Festival di San Sebastian fa man bassa di premi: regia e migliori attori per Germi e Della Noce. Un grande film, una pietra miliare del cinema italiano, un melodramma neorealista di taglio intimista, con sfumature deamicisiane (come dice Morandini) che non guastano, perché il lato umano dei personaggi è tratteggiato in profondità. Le accuse di moralismo populista che piovono su Germi dal versante della critica militante sono del tutto infondate.

In breve la storia, molto articolata, che racconta l’esistenza tormentata di un macchinista ferroviere. Il vino, l’osteria e gli amici sono il leitmotiv di un racconto per immagini intenso e coinvolgente. Andrea conduce lo spettatore alla scoperta di un luogo importante per l’Italia degli anni Cinquanta: l’osteria, dove scorre la vita degli uomini dopo il lavoro, tra partite a carte, chiacchiere con gli amici e fiaschi di vino, la droga dei poveri. Vediamo gli scontri padre-figlia ripercorsi grazie a intensi flashback, la ragazza (Koscina) che sposa un uomo che non ama (Giuffrè) per volere del padre, ma anche un altro figlio che non vorrebbe fare la vita del genitore, ma non lavora e si mette nei guai. Il primo dramma nella vita della figlia è la nascita di un figlio morto che segna la crisi matrimoniale. Un amante entra nella vita della figlia, motivo della separazione e di una lite furibonda con il padre. Straordinaria Luisa Della Noce nei panni della donna di casa, mite e sottomessa, che si sobbarca in silenzio tutti i problemi familiari, sia la crisi matrimoniale della figlia che i fallimenti del figlio. Il racconto procede seguendo le considerazioni del figlio più piccolo, Sandro (Nevola), innamorato del padre ma studente svogliato e per questo spesso rimproverato dal genitore. Il rapporto padre – figlio è una delle cose più belle dell’intera pellicola, tratteggiato con dovizia di particolari, realistico e in linea con la concezione paterna del periodo storico. Il padre non è un amico, ma il capo famiglia, a volte duro, ma sempre rispettato, lavoratore infaticabile, a lui è concesso andare con gli amici all’osteria, persino ubriacarsi dopo il turno massacrante di lavoro. Il dramma irrompe nella vita di Andrea quando investe un suicida alla guida del treno, subito dopo non vede un segnale rosso e rischia di provocare un incidente ferroviario. Andrea crolla psicologicamente dopo la sospensione dal lavoro, dovuta alla cattiva fama di bevitore, non crede nel sindacato che non l’aiuta, finisce ai servizi sedentari e deve fare il crumiro per recuperare la guida del treno. Soltanto Gigi Liverani (Urzì), il collega e l’amico di sempre, resta al suo fianco e l’aiuta nei momenti difficili.

Il finale è drammatico. Andrea è malato di cuore ma vuole festeggiare il Natale con gli amici e la famiglia. È il Natale più bello della sua vita, si riappacifica con i figli, comprende di essere stato troppo intransigente. Non fa in tempo a cambiare, perché muore sul suo letto mentre imbraccia la chitarra per dedicare una serenata alla moglie, che non l’ha mai abbandonato. Il piccolo Sandro resta solo, ma il figlio maggiore comincia a lavorare, si capisce che prenderà il posto del padre alla guida della famiglia, mentre il matrimonio della sorella sembra rimettersi in sesto.

Pietro Germi compone uno spaccato crudo e realistico dell’Italia anni Cinquanta, una nazione povera che stenta a ricostruire palazzi e fabbriche dopo la guerra. La macchina da presa del regista indaga la vita delle famiglie proletarie, che vivono in povere case, vestono abiti rattoppati, lavorano duro per pochi soldi. I contrasti generazionali sono in primo piano: i figli si ribellano all’autorità, pretendono una vita diversa in un mondo che cambia, mentre il padre ragiona come in passato. Il film è un melodramma sentimentale, ma non rinuncia a fare politica in senso lato. Germi punta l’indice accusatore su un sindacato che parla molto ma non fa l’interesse dei lavoratori, non li difende come dovrebbe. Pietro Germi conferisce forza e carisma a un personaggio importante, dando ragione a se stesso per aver scommesso sulla sua interpretazione. Si tratta del ruolo della sua vita, come attore.

Indimenticabili le sequenze alla guida del treno, lo sconforto in osteria davanti a un bicchiere di vino e l’amore burbero per il figlio più piccolo che lo ama e lo teme. Brava anche Sylva Koscina (1933 – 1994), ventidue anni, al suo secondo film dopo Siamo uomini o caporali? (1955) di Camillo Mastrocinque, dove si limitava a una breve apparizione sexy. Luisa Della Noce (1923 – 2008), invece, interpreta una manciata di pellicole dal 1952 al 1970, ma resta fondamentale il ruolo come moglie del ferroviere, rappresentativo della rassegnazione femminile negli anni Cinquanta. La sua parte è la personificazione della moglie parafulmine dei problemi casalinghi, sempre comprensiva e disposta a perdonare. Il ruolo della donna nel cinema di Germi è secondario, visto da un’ottica molto maschile, autori come Brunetta hanno parlato di misoginia, termine che pare eccessivo. Quel che conta in Germi è il rapporto virile padre-figlio, amico-compagno di lavoro, ma nella sua opera non c’è traccia di quella lotta di classe tanto amata dagli ideologi, che si stempera nella normalità della vita quotidiana.

La critica di sinistra stronca il film, perché il regista mostra una figura di operaio troppo diversa dai cliché precostituiti e rassicuranti. Si tratta di critiche ideologiche fuorvianti, che parlano di populismo, mancanza di coscienza di classe, intenti deamicisiani. Pietro Germi amava molto questo film, era il lavoro in cui più si riconosceva, “fatto per gente all’antica…col risvolto dei pantaloni”, diceva. Germi è doppiato da Gualtiero De Angelis, voce intensa e vellutata di James Stewart, Cary Grant, Dean Martin.

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Regia: Pietro Germi. Soggetto: Alfredo Giannetti. Sceneggiatura. Luciano Vincenzoni, Pietro Germi. Revisione Sceneggiatura: Ennio De Concini, Carlo Musso. Fotografia. Leonida Barboni. Montaggio: Dolores Tamburini. Musiche: Carlo Rustichelli. Scenografia: Carlo Egidi. Produttore: Carlo Ponti per ENIC/ Ponti De Laurentiis. Distribuzione: ENIC. Durata: 118’. B/N. Genere: Drammatico. Interpreti: Pietro Germi (doppiato da Gualtiero De Angelis), Luisa Della Noce (doppiata da Dhia Cristiani), Sylva Koscina (doppiata da Lydia Simoneschi), Saro Urzì (doppiato da Manlio Busoni), Carlo Giuffrè, Renato Speziali (doppiato da Giuseppe Rinaldi), Edoardo Nevola, Riccardo Garrone, Franco Fantasia, Renato Terra, Gustavo Serena, Amedeo Trilli, Lina Tartara Minora, Mirella Fedeli, Antonio Acqua, Lilia Landi. Premi: Nastro d’Argento Miglior Film e Miglior Produttore; Festival Internazionale di San Sebastian: Concha de Oro miglior film, Concha de Plata miglior regista a Pietro Germi, Concha de Plata migliore attrice a Luisa Della Noce; Premio San Francisco a Pietro Germi come miglior attore. Premio Cork a Pietro Germi come Miglior Regia.

©Futuro Europa®

[NdR – L’autore dell’articolo ha un suo blog “La Cineteca di Caino”]

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1 Commento per "Il ferroviere (Film, 1956)"

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