Il valore del talento

Come scrisse Voltaire, il lavoro salva l’uomo da tre grandi mali: la noia, il vizio e il bisogno. Qualcosa che ha a che fare con la realizzazione, la libertà, la democrazia. Ma il lavoro sarà sempre più una “risorsa scarsa” e le percentuali di disoccupazione a due cifre non sembrano arretrare. Il lavoro delle macchine e l’intelligenza artificiale aumentano e il lavoro per le persone diminuisce. Potremmo domandarci allora a cosa possa servire investire sui talenti delle persone quando la crisi che stiamo vivendo sembra infinita e quando siamo in presenza di previsioni di una sempre più invasiva meccanizzazione dei mezzi di produzione. In primo luogo abbiamo bisogno di molto talento per affrontare le ardue sfide globali che sono davanti a tutti noi. Non solo del talento dei leader, di coloro che saranno chiamati, o che si candidano, a guidare sistemi complessi per farli funzionare. Parliamo del talento, necessario a tutti, per essere capaci di affrontare la vita, il lavoro, per essere creativi, imparare a crescere e a guidare a loro volta chi verrà dopo.

Tutti hanno la necessità di esprimere al meglio i propri talenti cha vanno scoperti e allenati. Il nostro sistema scolastico difficilmente riesce a scoprire, e ad aiutare a scoprire, i talenti di ognuno, e non possiede pienamente gli strumenti atti a valutare il talento e renderlo produttivo. Il talento è sicuramente l’inclinazione naturale di una persona a far bene una specifica attività, ma senza investimenti e senza sforzi, nessun talento può davvero sprigionare il suo intrinseco valore. Il talento è connaturato alla creatività e alla consapevolezza della natura umana e dovremmo investire in modo razionale per contribuire a strutturare sistemi in grado di scoprirlo e valutarlo. La conoscenza è il mattone fondamentale del talento e il merito è il suo contesto. Per questo motivo il nostro sistema scolastico dovrebbe programmare investimenti per massimizzare le naturali differenze dei talenti delle persone, per dare significato e per riconoscere e attuare il fondamento del progresso sociale a partire dai singoli.

Il talento va riconosciuto e sviluppato nelle sue diverse declinazioni. Il talento specialistico e il talento tecnico andrebbero sviluppati nei contesti dove sono necessarie capacità numerico-linguistiche e dove la capacità di risoluzione dei problemi complessi è pratica quotidiana; il talento innovatore e il talento imprenditoriale dovrebbero svilupparsi negli ambiti relativi alle capacità creative e all’assunzione e gestione dei rischi; il talento civico ed etico andrebbero contestualizzati dovunque; il talento sociale, connaturato alle abilità ad integrarsi socialmente e interagire con gli altri; il talento emotivo che fa riferimento all’abilità di gestire le proprie emozioni e di rispettare quelle degli altri. A questi talenti, la cui classificazione non è esaustiva, sono legati anche i diversi stili di leadership che possono e devono fare la differenza. È necessario che ognuna di queste diverse declinazioni possa ritrovarsi in tutti i programmi scolastici e di sviluppo della persona, per contribuire ad una reale crescita degli individui. Per stimolare le persone a raggiungere la propria realizzazione è auspicabile un’armonica interazione tra desiderio, abilità, adeguatezza, responsabilità ed opportunità. Sono le opportunità, elemento generale e non solo personale, che sembrano mancare.

Un sistema, non solo quello pubblico, che non pone la giusta attenzione al merito e ai talenti, che non premia i valori e le competenze, ma più spesso l’appartenenza, non riuscirà a scoprire i talenti né sarà in grado di valutarli. Avere comportamenti non etici, insostenibili e volutamente non misurabili, significa non solo “sotterrare” i propri talenti – fingendo di averne – ma commettere la grave ingiustizia di nascondere i talenti degli altri. C’è un passaggio del discorso al Senato del nuovo Premier che riguarda l’accountability: Matteo Renzi si domandava quale parola ci fosse in italiano che potesse rendere bene il significato della parola inglese. È vero che forse è diventata una parola abusata. Ma resta il fatto che senza una ristrutturazione complessiva del sistema che introduca una decisa volontà a rendere conto delle proprie azioni e senza una reale responsabilità dei risultati conseguiti non saremo in grado di “tirare fuori” i tanti talenti presenti nel nostro Paese.

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