Outlet Italia

All’indomani della fine del Governo Letta, un evento che ha destabilizzato profondamente gli equilibri della politica e probabilmente continuerà a farlo, l’agenzia Moody’s ha confermato il rating dell’Italia a Baa2. La notizia positiva è che, nonostante gli eventi delle ultime settimane, l’outlook – ossia la previsione di medio-lungo termine – non è più negativa ma stazionaria. La domanda che però sorge spontanea è: perché il nostro Paese attrae sempre meno investimenti? La riflessione nasce dal fatto che le eccellenze del Made in Italy abbandonano il Paese – per loro volontà o per motivi di causa maggiore – finendo per delocalizzare le attività produttive (con ripercussioni a livello macro sull’economia nazionale, ma anche sui singoli lavoratori) o per essere acquisite da multinazionali estere, che ne sradicano il dna.

L’ultima notizia in ordine di tempo è quella relativa all’acquisto di Poltrone Frau, un’azienda fortemente radicata sul territorio con più di un secolo di storia alle spalle, ceduta per circa il 60% (per la precisione il 58,6%, di cui 51,3% posseduto da Charme e il restante 7,3% da Moschini) all’americana Haworth, specializzata nella progettazione di ambienti di lavoro flessibili e sostenibili. Purtroppo questa è solamente l’ultima realtà imprenditoriale che dice “addio” all’Italia.

I numeri raccolti in tal senso sono molto preoccupanti. Secondo un recente rapporto di Eurispes UIL-PA dal titolo “Outlet Italia. Cronaca di un Paese in (s)vendita”, sarebbero 437 le aziende italiane passate negli ultimi 4 anni (dal 2008 al 2012) nelle mani di acquirenti stranieri. Lo studio è organizzato attorno alle macro aree del Made in Italy ed evidenzia tutte le debolezze del sistema. Non solo perché a seguito di queste operazioni commerciali è come se se ne andasse anche un pezzo di italianità, ma anche perché condizioni contingenti (tra cui iperburocratizzazione della macchina amministrativa, tassazione iniqua e difficoltà di accesso al credito bancario) costringono le aziende a “svendersi”, piegandosi a cifre nettamente inferiori rispetto al loro reale valore di mercato. Come evidenzia Benedetto Attili, Segretario Generale UIL-PA, l’impatto è duplice: sia economico che in termini di perdita di asset, molti dei quali “immateriali” e, quindi, difficilmente quantificabili (pensiamo per esempio alla tradizione, all’esperienza o ancora alla storia insita in un’azienda ultracentenaria come Poltrone Frau).

Si tratta di un trend non nuovo per l’Italia (le prime acquisizioni risalgono agli anni ’70), ma che negli ultimi quattro anni, complice la crisi economica, ha registrato un’impennata incrinando la vitalità del nostro tessuto imprenditoriale. Un’altra importante novità è che, rispetto al passato, è cambiata la geografia del potere in quanto a fianco dei tradizionali player europei stanno emergendo nuove minacce provenienti dai BRIC.

La lunga lista delle acquisizioni comprende importanti marchi, da Telecom a Pernigotti, da Algida a San Pellegrino, passando per Fiorucci e Loro Piana, e c’è il timore – peraltro assolutamente legittimo – che quest’emorragia possa continuare sino a determinare il tramonto definitivo del Made in Italy. L’osservato speciale di questi giorni è FCA, la neonata compagnia automobilistica nata dalla fusione Fiat-Chrysler, che, al momento del suo insediamento, ha comunicato l’intenzione di collocare la sua sede legale e fiscale al di fuori dei confini nazionali (rispettivamente in Olanda e a Londra), un atto che è stato evidentemente interpretato come un rinnegamento delle origini italiane da parte del management del Gruppo Fiat.

Di fronte ad una simile situazione, il mondo politico ha il dovere di occuparsene, predisponendo adeguate misure per risolvere da un lato il cosiddetto credit crunch (la stretta creditizia che affligge il mondo bancario, rendendo sempre più sporadiche le erogazioni di finanziamenti per le imprese) e dall’altro interrompere la fuga di capitali verso l’estero che mette in crisi la produttività e, quindi, la stabilità del sistema-Paese. Solo così si potrà rimettere in moto l’economia italiana.

©Futuro Europa®

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