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Europa, dopo Ventotene la Conferenza di Messina

Settant’anni fa, tra le sale di Messina e Taormina, sei uomini scrissero una delle pagine più importanti della storia europea. Dal 1 al 3 giugno 1955, mentre il mondo era diviso tra il blocco sovietico e quello occidentale, si tenne la Conferenza di Messina, un incontro che avrebbe dato il via a quel percorso che, due anni dopo, avrebbe portato ai Trattati di Roma e alla nascita della Comunità Economica Europea.

Non erano tempi facili. L’Europa era ancora segnata dalle cicatrici della Seconda guerra mondiale e la Guerra Fredda imponeva scelte nette. Da un lato l’Unione Sovietica e i suoi Stati satelliti, dall’altro gli Stati Uniti e i paesi occidentali, uniti nella NATO ma non sempre d’accordo su come costruire il futuro del continente. La Francia aveva appena bocciato il progetto della Comunità Europea di Difesa (CED), segno che le diffidenze reciproche erano ancora forti. Eppure, nonostante le difficoltà, l’idea di un’Europa più integrata non era morta.

A presiedere l’incontro fu Paul-Henri Spaak, ministro degli Esteri belga, affiancato dai suoi omologhi: Gaetano Martino per l’Italia, Jan Willem Beyen per i Paesi Bassi, Antoine Pinay per la Francia, Joseph Bech per il Lussemburgo e Walter Hallstein per la Germania Ovest. Sei uomini, ognuno con la propria visione politica, ma accomunati dalla consapevolezza che un’Europa divisa era destinata a restare fragile, mentre solo l’unione avrebbe potuto garantire stabilità e progresso.

Il primo e il secondo giorno della conferenza furono difficili. Le divergenze erano tante, le posizioni non sempre conciliabili. Ma il 3 giugno accadde qualcosa di straordinario: gli Stati partecipanti trovarono un accordo, dando vita alla Dichiarazione di Messina, un documento che tracciava la strada per la creazione di una comunità economica e di un’agenzia per lo sviluppo dell’energia atomica (Euratom). Due anni dopo, questo spirito avrebbe portato alla firma dei Trattati di Roma del 1957, e alla nascita di quella che sarebbe diventata l’Unione Europea.

Era un’epoca di uomini che sapevano guardare avanti, nonostante le difficoltà. A capo dell’Italia c’era Giovanni Gronchi, esponente di una Democrazia Cristiana che cercava di coniugare europeismo e difesa dell’identità nazionale. A Roma sedeva sul soglio pontificio Papa Pio XII, il pontefice che aveva vissuto la tragedia della guerra e che guardava con attenzione alla ricostruzione del continente, ben consapevole che la Chiesa cattolica avrebbe giocato un ruolo fondamentale nella nuova Europa.

Ma l’Europa che nacque allora non era quella che molti avevano sognato. Vent’anni prima, nel 1941, nel carcere di Ventotene, Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi scrivevano il Manifesto Per un’Europa libera e unita, sognando un’unione basata non solo su interessi economici, ma su valori comuni, su una vera federazione di popoli. A Messina, invece, prevalse la linea più pragmatica: si puntò sull’integrazione economica, con la speranza che il resto sarebbe venuto da sé.

E oggi, settant’anni dopo, cosa resta di quello spirito di Messina? L’Unione Europea esiste, ma sembra l’ombra del sogno che nacque tra Messina e Ventotene. Gli uomini che nel 1955 volevano costruire qualcosa di grande sarebbero sorpresi nel vedere che l’Europa di oggi è un gigantesco ingranaggio burocratico, sempre più distante dai cittadini. L’unione economica è stata realizzata, ma l’unione politica resta incompiuta. Le decisioni più importanti vengono prese nelle stanze di Bruxelles, spesso senza un vero consenso popolare.

Eppure, nonostante tutto, quell’idea nata in una stanza di Messina settant’anni fa ha cambiato la storia. Oggi ci si muove senza passaporti, si paga con la stessa moneta, si lavora e si studia ovunque. Non è l’Europa ideale sognata a Ventotene, ma non è nemmeno il mosaico di nazioni ostili che si combattevano per il dominio del continente.

Forse il tempo di una nuova Messina è arrivato. Di una classe politica capace di guardare avanti, di pensare a un’Europa non solo di trattati e regolamenti, ma di popoli e di idee. Forse, proprio in questi tempi di crisi, bisognerebbe tornare a quello spirito di allora, quando l’Europa non era un insieme di sigle, ma un progetto fatto di volontà, visione e sacrificio.

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