Cronache dai Palazzi

La libertà deve essere considerata “premessa di pace, giustizia, uguaglianza, democrazia”. In quanto dalla libertà derivano le istituzioni, l’equilibrio dei poteri, il ruolo fondamentale del Parlamento. Queste le parole del presidente Mattarella durante la cerimonia di auguri al Quirinale di fronte alle alte cariche dello Stato. “Nulla può essere dato per scontato. La pace innanzitutto. Ma anche la democrazia, i valori su cui si fonda, a cominciare dall’idea di libertà”.

Il discorso del Capo dello Stato alle alte cariche della Repubblica vuole segnalare una situazione emergenziale ed è un appello alla responsabilità per tutti coloro che operano al servizio del bene comune incidendo sulla vita dei cittadini, e per coloro che si impegnano per proteggere la democrazia e i suoi valori. In sostanza “dal rispetto delle libertà deriva l’equilibrio dei poteri” e “dal rispetto della libertà di ciascuno discendono le democratiche istituzioni, l’equilibrio fra i poteri, il ruolo fondamentale del Parlamento”.

Il Presidente della Repubblica ha inoltre dedicato una riflessione all’aspetto tecnologico della nostra società. La tecnologia rappresenta il “tornante della storia, affascinante ma non privo di pericoli”, ha ammonito il presidente Mattarella. “Un cambiamento che mette in discussione gli equilibri precedenti, i modelli di sviluppo: quelli sociali, quelli culturali e persino quelli antropologici”.

Un “tornante” con cui occorre misurarsi. “Il cambiamento in atto presenta potenzialità e rischi. Ha effetti concreti sulla vita delle persone. Tocca diversi ambiti e pone interrogativi nuovi che hanno profili giuridici, economici, sociali: rappresentano la sfida più alta sulla quale la politica è chiamata ad esercitare la sua responsabilità”.

In sintesi, i devastanti cambiamenti climatici, le crescenti disuguaglianze e migrazioni, l’intelligenza artificiale per cui non sono state ancora definite regole certe, le maxi elusioni fiscali, le oligarchie di certi attori globali eventualmente pronti a comportarsi “come contropoteri” minacciando i valori legati ai principi della libertà. Si tratta in sostanza del “mondo a pezzi” prefigurato dal presidente la scorsa settimana nel suo discorso agli ambasciatori, un mondo nel quale potrebbero acuirsi le divisioni e il divario tra ricchi e poveri, tra chi ha sempre di più e chi ha sempre di meno. L’Occidente inoltre risulta “sfidato” nei suoi valori.

“Quello che stiamo vivendo è un tempo, per un verso, affascinante, di grande cambiamento ma anche difficile, travagliato, per più aspetti drammatico”, ha affermato il capo dello Stato. Gli effetti devastanti del post pandemia, diverse guerre, l’emergenza legata al cambiamento climatico, “divari sociali” dirompenti, tantoché “alle vecchie disuguaglianze se ne aggiungono di nuove, nei campi del digitale e della conoscenza”. Queste sono solo alcune delle questioni urgenti alle quali porre riparo. “Si tratta di fenomeni globali che entrano prepotentemente nella vita delle nostre comunità e in quella quotidiana di ciascuno”.

Tuttavia, il messaggio del presidente Mattarella alle alte cariche dello Stato è intriso di “speranza” e si chiude evocando la “fiducia”. Fiducia nel nostro Bel Paese che nel 2024 dovrà affrontare nuove responsabilità internazionali a partire dalla presidenza del G7, foro di dibattito e “di soluzioni avanzate” tra i grandi della Terra, auspica il Presidente della Repubblica. Fiducia, infine, nel fatto di essere in grado di preservare le istituzioni democratiche, tutelando nel contempo “l’equilibrio dei poteri, il ruolo fondamentale del Parlamento, l’imparzialità che è principio-guida della pubblica amministrazione”. Non manca uno sguardo verso le riforme che occorre attuare e in vista delle Elezioni europee Mattarella definisce la “flessione della partecipazione al voto, essenziale per legittimare le istituzioni”. “

“Come di consueto, gli ultimi giorni dell’anno inducono a soffermarsi su una domanda: su quali basi costruire la nostra speranza per i giorni che verranno?” Ha sintetizzato il presidente Mattarella con lo sguardo rivolto al futuro e sottolineando: “È alla politica, alle democratiche istituzioni rappresentative che vanno affidate le scelte e le decisioni che incidono sulla vita sociale e sulla libertà dei cittadini non alle strategie di grandi finanziari in base ai loro interessi, che vanno rispettati ma nell’ambito delle regole che devono osservare per tutelare i valori fondamentali della convivenza civile”.

Per quanto riguarda il Mes il No di Montecitorio al Fondo salva Stati sancisce una posizione netta dell’Italia e prefigura uno scenario di possibili alleanze in vista delle prossime elezioni Europee: FdI e Lega da una parte, FI e Noi Moderati in una posizione mediana corrispondente all’astensione. All’interno della maggioranza, di fronte al no netto di Lega e Fratelli d’Italia, dai banchi di Forza Italia si vocifera: in fondo fa comodo “avere un partito europeista come il nostro, e moderato, che non si metta di traverso ma rende chiari i suoi dubbi, serve nella Ue”. A proposito del Mes “non avremmo mai potuto votare no, visto che eravamo favorevoli fin dall’inizio. Ma così com’è non ci soddisfa. Se salvabanche deve essere, serve un controllo, una governance davanti al Parlamento europeo, e non la totale discrezionalità degli organi direttivi”.

Una eventuale rimodulazione del settore bancario, inoltre, dovrebbe essere realizzata “nel complesso a partire dall’unione bancaria. Così com’è non va. Lo avevamo fatto presente da tempo”, ammoniscono i forzisti. Tutto questo, comunque, non mette “minimamente a rischio l’unità della maggioranza. Il Mes non è mai stato nel programma comune”. Il Mes, il Meccanismo europeo di stabilità, è stato istituito con un Trattato intergovernativo del 2012 tra i Paesi dell’area euro. I membri oggi sono 20, compresa l’Italia. L’obiettivo del Mes, è favorire i Paesi membri con aiuti finanziari ma a specifiche condizioni. Il capitale del Mes supera gli 800 miliardi di euro, dei quali 80 versati e il resto a chiamata. L’Italia ha il 17,9% e fino ad ora ha versato 14,3 miliardi. Il Mes ha sostenuto in particolare Irlanda, Grecia, Spagna, Portogallo e Cipro.

L’Italia, nello specifico, ha bocciato la ratifica di un accordo firmato nel 2021 dai governi dei Paesi membri del Mes, finalizzato ad estendere e rafforzare le funzioni del suddetto accordo. La riforma prevedeva l’utilizzo di una parte delle risorse del Mes, circa 70 miliardi, come sostegno del Fondo europeo di risoluzione intervenendo nella crisi delle grandi banche. Ed ancora un rafforzamento del ruolo del Mes nel seguire e valutare la situazione economica e finanziaria dei suoi membri, compresa la sostenibilità del debito. Era prevista inoltre l’applicazione a tutti i nuovi titoli di Stato di una clausola per rendere più favorevole l’eventuale ristrutturazione del debito. In sostanza in caso di crisi, dovendo modificare i termini di pagamento del debito di un Paese membro si prevedeva una maggioranza più sostenibile da parte dei creditori. Per entrare in vigore le modifiche proposte dovevano essere approvate dai Parlamenti di tutti i 20 Paesi entro il 31 dicembre del 2023. Dato che l’Italia ha detto No, la riforma non entra in vigore e si torna quindi alle regole del vecchio Mes. Ogni Paese dovrà provvedere a risolvere i propri problemi finanziari innanzitutto utilizzando i Fondi di garanzia dei depositi ed anche applicando le regole Ue sulle risoluzioni bancarie (il bail-in), ed infine attraverso il Meccanismo di risoluzione unico europeo, nutrito dai contributi delle stesse banche. In definitiva il Mes non viene rafforzato ma, nello stesso tempo, c’è il nuovo Patto di Stabilità in virtù del quale dovrebbero essere assicurate ampie garanzie per quanto riguarda il rispetto degli obiettivi di bilancio dei Paesi membri.

L’Aula di Montecitorio ha detto No al Mes con 72 voti a favore, 184 contrari e 44 astenuti. Hanno votato si alla ratifica del Mes Partito democratico, +Europa, Italia viva e Azione. Contrari Fratelli d’Italia, Lega e Movimento 5 Stelle. Astenuti Forza Italia, Noi moderati e Alleanza Verdi e Sinistra. A proposito del no al Mes, il senatore leghista Claudio Borghi ha affermato: “Anche oggi la nostra coerenza ha portato alla difesa della democrazia, dell’economia e dei risparmi degli italiani”. In sostanza per la Lega termina “una battaglia ultradecennale. Il Parlamento ha messo fine ad un dibattito anacronistico e stantio”. Il voto contrario al Mes assume di certo “un significato politico” ma, per coloro che hanno detto no, il suddetto significato “travalica i confini del nostro Paese”.

Nello specifico le elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo in Italia sono in programma il prossimo 9 giugno, ed è il primo voto a carattere nazionale dopo la vittoria del centrodestra alle Politiche del 2022. Forza Italia e Noi Moderati correranno insieme mentre tra Lega e Fratelli d’Italia è già aria di competizione elettorale. “Il Mes non ci serve, serve alla Germania, le nostre banche sono solide”, ha affermato il sottosegretario Giovanbattista Fazzolari. Un parere condiviso da tutti i leader della maggioranza.

È stato invece raggiunto un accordo in sede europea per quanto riguarda il Patto di Stabilità: meno di due ore in videocollegamento per raggiungere l’unanimità necessaria. In sostanza ha prevalso il compromesso franco-tedesco al quale ha contribuito anche l’Italia; fondamentale inoltre la mediazione spagnola, presidenza di turno dell’Ue. La ministra Nadia Calviño, vice primo ministro della Spagna, ha affermato: “Siamo riusciti a raggiungere il miglior accordo nel miglior momento possibile”. Dopodiché Calviño ha spiegato: “Il testo definisce regole fiscali più chiare e realistiche adatte al 21esimo secolo, che garantiscano gli investimenti e le riforme necessarie in quelle aree strategiche chiave per il futuro dell’Europa”. Ossia doppia transizione verde e digitale, e difesa. Non è stato semplice raggiungere un compromesso tra la Germania, leader dei Paesi Frugali, che esigeva parametri comuni misurabili in grado di ponderare la riduzione del debito pubblico e del deficit, e la Francia insieme all’Italia e agli altri Paesi del Sud con un alto debito pubblico, che miravano a preservare la capacità di investimento e di manovra per non compromettere le prospettive di crescita.

Tale impostazione, del resto, era alla base della proposta di riforma presentata dal commissario Ue Paolo Gentiloni e dal vicepresidente Valdis Dombrovskis: semplificare le vecchie regole e strutturare piani nazionali su misura, in quattro o sette anni, basati sulla spesa primaria netta per favorire il rientro del debito, tenendo ovviamente conto delle specificità nazionali. Germania e Olanda hanno inoltre ottenuto l’aggiunta di due salvaguardie sul debito e sul deficit. “L’introduzione di questi ulteriori parametri numerici certamente rende l’insieme del meccanismo delle regole più complesso”, ha chiarito il commissario Gentiloni aggiungendo che “sarà un gran lavoro da fare per la Commissione insieme ai diversi Paesi per avere questi piani di medio termine funzionanti per l’obiettivo di assicurare stabilità e crescita insieme”. Gentiloni ha però assicurato che “i parametri numerici sono tutti parametri che i diversi Paesi, inclusa l’Italia, possono affrontare”. In sostanza si tratta di parametri “realisti”. Ai Paesi membri con debito superiore al 60% del Pil e un deficit superiore al 3% del Pil la Commissione europea fornirà delle “traiettorie tecniche” sull’andamento della spesa nel medio periodo (estendibile da 4 a 7 anni). Tali Paesi hanno comunque ottenuto una flessibilità per gli anni 2025, 2026 e 2027 derivante da maggiori interessi sul debito e da investimenti in green, digitale e difesa.

Per non compromettere gli effetti positivi del Pnrr, la Commissione europea terrà conto dei suddetti investimenti nelle procedure per deficit eccessivo e quando dovrà definire il parametro di riduzione annua. Il ministro dell’Economia Giorgetti non ha esultato di fronte all’accordo raggiunto, mentre i ministri degli altri Paesi lo hanno definito “storico”. L’Italia ha preso parte all’intesa “con lo spirito del compromesso inevitabile in un’Europa che richiede il consenso di 27 Paesi”, ha spiegato il ministro. Per la premier Giorgia Meloni si tratta di “un compromesso di buonsenso” e “per l’Italia migliorativo rispetto alle condizioni del passato”. Per la leader dei dem, Elly Schlein, invece, è “un cattivo compromesso per l’Italia”.

Un’altra partita riguarda la manovra da approvare entro la fine dell’anno. Dopo la rinuncia della maggioranza agli emendamenti, la Legge di Bilancio 2024 tornerà in Aula non prima di venerdì 29 dicembre escludendo altri disguidi, che non dovrebbero esserci in quanto sembra sia stata raggiunta un’intesa tra maggioranza e opposizione. Dopo essere stata votata con la fiducia dall’Aula di Palazzo Madama, la Legge passerà all’esame della Camera dove le opposizioni hanno chiesto non sia “posta dal governo la questione di fiducia, e ha offerto in cambio la disponibilità a una discussione ordinata degli emendamenti”, ha spiegato il ministro per i Rapporti con il Parlamento Luca Ciriani. Il 27 e il 28 la Legge sarà vagliata dalla Commissione Bilancio di Montecitorio e poi passerà in Aula. Il voto finale è previsto nel tardo pomeriggio di venerdì 29 dicembre, con la diretta televisiva.

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