Mercati emergenti ad alta tensione

Dopo mesi di rialzi è stato un Gennaio difficile sulle Borse di tutto il mondo: dagli Usa, all’Europa fino ai Paesi Emergenti. Proprio questi ultimi, benché abbiano sottoperformato nell’ultimo biennio i mercati maturi, sono stati l’epicentro del terremoto finanziario delle ultime settimane.

Le nuove turbolenze sui mercati sono riconducibili a diversi fattori: dalla nuova accelerazione da parte della Fed, la Banca Centrale Americana, del tapering, cioè della riduzione di stimoli monetari all’economia, ad alcuni dati macroeconomici che evidenziano un rallentamento di alcuni paesi emergenti (Cina e Russia su tutti), allo spettro deflazione che aleggia sull’Europa. A queste notizie si somma un nuovo incubo argentino: tutto questo ha provocato nuova incertezza tra gli operatori, i quali hanno iniziato a mettere in dubbio il vigore della ripresa globale ed hanno penalizzato pesantemente i mercati emergenti, sia dal punto di vista obbligazionario sia da quello azionario.

Molte valute emergenti, sulle attese di un rialzo dei tassi in Usa e sulle prospettive di un rafforzamento del dollaro in vista della fine della stagione del Quantitative Easing americano, hanno segnato bruschi ed inattesi cali, tanto che alcune banche centrali sono intervenute innalzando i tassi d’interesse, provando ad arginare la fuga di capitali e i crolli delle valute locali. In Gennaio sono stati alzati i tassi in India (dal 7,75 all’8%), Sudafrica (dal 5% al 5,5%) e Brasile (dal 10% al 10,5%), ma il caso più eclatante è quello della Turchia dove i tassi sono passati dal 7,75% al 12%. Lo scopo è chiaro: fermare i deflusso di capitali esteri cercando di attrarli con tassi d’interesse più alti ed incentivando il carry trade.

Dal picco massimo dei fondi investiti in azioni degli Emerging Market a inizio 2013, intorno ai 220 milioni, si è passati ai 160 di dicembre 2013, cifra destinata ad essere rivista nuovamente al ribasso nel mese di Gennaio. Questo denota una fuga di capitali dalle economie emergenti che non si verificava dal 2011; se si considerano le performance borsistiche è stato il peggior Gennaio dal 2008, con l’indice Msci Emerging Market che ha perso il 7% ma molti mercati hanno registrato cali più consistenti: Brasile -11%, Cile -12%, Turchia -10,5% e Russia -8%. Il timore di un rallentamento della ripresa globale sembra pesare anche sui mercati obbligazionari emergenti, in particolar modo quelli in valuta locale, che scontano un movimento dei flussi a favore di asset più sicuri nei mercati maturi. E’ tornata nuovamente l’avversione al rischio, testimoniata dal balzo degli spread pagati sui Credit Default Swap del debito sovrano di alcuni paesi emergenti (Argentina in testa).

Gli analisti si trovano divisi sulle prospettive dei mercati emergenti: una parte sostiene che la discesa e la fuga di capitali sia solo all’inizio e consigliano di sottopesarli mentre altri invitano ad accumularli. Questi ultimi focalizzano l’attenzione sulle scarse performance degli ultimi anni (non influenzate da stimoli monetari delle banche centrali) e sulle valutazioni attraenti di alcuni listini che vantano un p/e (rapporto tra prezzi e utili, price/earnings) inferiori a 10. Il presente per i mercati emergenti può essere turbolento ma le prospettive di crescita rimangono estremamente positive.

©Futuro Europa®

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