Intervista al soprano Carmela Remigio

Insignita del prestigioso “Premio Abbiati”, ha interpretato più di cinquecento recite del Don Giovanni di Mozart. Collabora con direttori come Abbado, Pappano, Chung, Tate, Gatti, Luisi, Harding, Dudamel, Chailly, Noseda, Valčuha, e con registi quali McVicar, Vick, Pizzi, Tiezzi, Armitage, Martone, Ronconi, Michieletto, Wilson e Brook. Canta repertorio operistico e cameristico – dal barocco ai nostri giorni – per le principali istituzioni italiane ed estere come Teatro alla Scala, Festival di Salisburgo, Royal Opera House, Festival d’Aix-en-Provence, Teatro La Fenice, Théâtre Royal de La Monnaie. Tra le sue incisioni discografiche sono di particolare rilievo le due edizioni di Don Giovanni, una diretta da Claudio Abbado e l’altra da Daniel Harding, lo Stabat Mater di Rossini con la direzione di Gianluigi Gelmetti, Arie Sacre Verdiane con la direzione di Myung-Whun Chung, un doppio CD dal titolo Arias dedicato a Tosti e a Rossini. Nel 2022 le è stato assegnato il “40° Premio Piccinni”. Stiamo parlando del soprano Carmela Remigio che abbiamo avuto modo di intervistare in occasione della prima edizione del Festival Riflessi del Garda, che si è tenuto con grande successo dal 30 giugno all’8 luglio a Castelnuovo del Garda, in provincia di Verona.

Buongiorno sig.ra Remigio, piacere di conoscerla, spero mi perdonerà alcune ingenuità da profano del settore. Ho letto che ha iniziato nel mondo della musica classica suonando il violino. Poi, da lì, una carriera internazionale come soprano, che l’ha vista anche affiancare Luciano Pavarotti per decine e decine di concerti. Che esperienza è stata? Che ricordo ha del grande maestro?

I concerti con Luciano Pavarotti sono stati parentesi di vita molto interessanti. Ho partecipato a circa 80 concerti, in tournée in tantissime nazioni, esibendomi in prestigiosi contesti e in svariate istituzioni importanti, dall’apertura dei Giochi Olimpici di Seoul al concerto dedicato all’eclissi totale di sole a Bucarest, giusto per citarne un paio. Ho cantato dalla Nuova Zelanda agli Stati Uniti, come a Oakland, Detroit, Albuquerque e alla Carnegie Hall di New York, e poi nel Regno Unito, alla Royal Albert Hall di Londra, e ancora per l’inaugurazione dell’Auditorium Rolex a Mosca, a Tokyo, all’Arena Bercy a Parigi, a Beirut per il primo concerto in Medio Oriente di musica classica in uno stadio. Davvero tanti sono stati gli eventi particolari e cantare accanto a Luciano Pavarotti era sempre un privilegio, ogni sera. Ho imparato tantissimo vivendo a contatto con lui, come anche la gestione della vita quotidiana, oltre che artistica e professionale. Ho capito come gestire il contatto con tutto il “jet-set” che circonda l’organizzazione di questi grandi concerti, eventi con un pubblico sempre molto numeroso, dalle 20.000 alle 60.000 persone. Occasioni importantissime per divulgare l’opera e farla conoscere a moltissime persone. Anche per questo la quotidianità della tournée con Luciano Pavarotti è stata per me un’occasione di grandissima crescita. Poi, era un uomo molto generoso nei confronti dei giovani, a cui elargiva sempre molti consigli. Avendo vinto il suo concorso da giovanissima, in un certo senso mi teneva sempre sotto controllo. Studiavo con il suo stesso maestro, Leone Magiera, ma anche lui ogni tanto aveva piacere di ricevere notizie sui miei progressi e sui contratti più importanti, e su tutto quello che riguardava la gestione della mia carriera.

Ci si ferma spesso all’apparenza del palco, ma quanto lavoro e sacrificio c’è dietro? Quanto impegno comporta essere un soprano del suo livello? Una sua tipica giornata lavorativa.

Il nostro lavoro è fatto di step. Nella prima fase delle prove per portare un’opera in scena ci sono tante ore di regia, di contatto con quello che è il personaggio; quindi, ci si stanca molto fisicamente e bisogna arrivare preparati con tutta la parte a memoria, con già completato uno studio precedente che assicuri un’ottima preparazione, così da poter lavorare a contatto con il regista in modo più libero, “scavando” il ruolo. Da qui si passa alla seconda parte del lavoro, nel quale si unisce il palcoscenico alla musica: ci sono le prove con l’orchestra e tutto quello che è successo in scena diventa storia del personaggio, che ci accompagna all’ultimo step, le prove generali. La generale è già una recita, di fatto, nel quale tutto dev’essere il più perfetto possibile per essere apprezzato dal pubblico. Lo dicono anche tanti miei colleghi, ma è bene ripetersi: il nostro è un lavoro molto bello, ma nello stesso tempo richiede moltissimi sacrifici personali, a cominciare dallo studio e dal preservare la voce. Quindi, durante le prove importanti e prima delle recite bisogna assolutamente osservare il silenzio, evitare convivialità e rinchiudersi un po’ in uno spazio personale per concentrarsi e poter dare il meglio durante le performance.

Ha lavorato con i più grandi direttori di orchestra al mondo, ha un ricordo particolare, un aneddoto da ricordare?

Ho lavorato e continuo a farlo con tantissimi grandi direttori, così come con moltissimi registi, ma difficilmente racconto aneddoti del “dietro le quinte”, perché ritengo che il lavoro dell’artista sia raccontare la “grandezza” non con le parole, ma attraverso le nostre esecuzioni, frutto delle collaborazioni e del lavoro di squadra.

Si muove tra diversi generi, dall’opera alla musica da camera, in quale si trova più a suo agio?

Ritengo che un cantante professionista debba sapersi muovere tra diversi generi nell’ambito della musica vocale, operistica o cameristica, con una formazione a tutto tondo, dalla liederistica italiana a quella straniera. Infatti, è possibile dare il meglio, grazie a ottimi preparatori e alla nostra sensibilità artistica, anche in lingue che non sono la nostra lingua madre o che non conosciamo perfettamente. Ho sempre amato la musica da camera italiana perché ritengo che la nostra sia una lingua naturalmente così tanto musicale, già nel parlato, da poter essere cantata in modo da farla comprendere il più possibile. Tuttavia, a livello internazionale è un po’ bistrattata, spesso considerata “inferiore”, ma non ne capisco le motivazioni. Non so perché Schubert, Brahms, Wolff risultino più interessanti. Per questo vorrei sottolineare il lavoro meraviglioso che con il team del Festival Riflessi del Garda abbiamo fatto per il concerto “Carmela Remigio. Anima Piccinniana”, andato in scena a Castelnuovo del Garda, proprio in riva al lago lo scorso 1° luglio. Abbiamo creato un programma di musica da camera adatto all’ascolto grazie alle raffinate e rare partiture di Niccolò Piccinni. E devo dire che il pubblico ne è stato molto felice, accogliendo con entusiasmo la proposta concertistica. Quindi evviva la nostra musica da camera italiana!

Di tutte le opere in cui si è esibita, a quale si sente particolarmente legata? Una sua preferita?

Sicuramente mi sento particolarmente legata alla trilogia mozartiana: Le Nozze di Figaro, Don Giovanni e Così fan tutte. Sono tre opere che mi hanno permesso di esprimermi al massimo, anche per la grande quantità di rappresentazioni che ho sostenuto per ciascuno di questi titoli. Ovviamente quanto più si porta in scena un personaggio, tanto più si riesce ad approfondirlo. Anche le grandi regine di Donizetti sono per me importantissime. A breve comincerò le prove di Anna Bolena e come dimenticare la bellezza di questo lavoro in cui non c’è solo la parte musicale che conta, ma anche tanto teatro, dove è possibile mettere in scena non solo la voce ma anche tutto quello che l’interpretazione può rappresentare.

La terra natia, l’Abruzzo, è molto presente nella sua storia, è una sorta di icona per questa zona d’Italia. Si sente molto partecipe delle sue origini? Ritiene ci sia un filo conduttore tra le origini e la carriera?

Sono abruzzese, una terra che ho dovuto lasciare molto presto, a 18 anni, perché non offriva nessun tipo di possibilità artistica. Quindi mi sono trasferita a Bologna, dove ho studiato in conservatorio per un anno e poi l’ho tenuta come “base”, vivendoci ancora per molti anni. Ora vivo a Milano. Diciamo che un artista è in realtà un cittadino del mondo ed è bene che non senta in modo totalizzante l’appartenenza a una terra. Sono ambasciatrice d’Abruzzo, ho avuto tanti riconoscimenti bellissimi dalla mia regione, dove risiede anche la maggior parte dei miei affetti. Però, come mi ha insegnato anche la mia storia famigliare, andar via non significa dimenticare le proprie origini, ma spesso anche rafforzarle. Bisogna imparare a “uscire dal guscio” per conoscere il mondo e questo un artista lo sa bene. Quindi sì, sono legata alla mia terra, ma non in modo esclusivo. Torno quando posso per trovare la mia famiglia, ma devo confessare che mi sento a mio agio in qualsiasi parte del mondo.

Quest’estate, tra i vari impegni, è stata protagonista in questo nuovo e importante “Festival Riflessi del Garda”. Che impressione ha di questa manifestazione in uno dei luoghi più belli dell’Italia, quale il Lago di Garda?

Sono molto felice di avere partecipato a questa prima edizione del Festival Riflessi del Garda, di esserne in qualche modo stata la madrina musicale e artistica. Mi ha fatto veramente molto piacere, come accennavo, portare un programma così raffinato, ricercato, monografico di Piccinni, autore italiano che ritengo tra i più importanti del Settecento per la storia del nostro melodramma, al quale hanno poi attinto tantissimi compositori dall’Ottocento in poi. Il posto è meraviglioso, suggestivo, e l’accoglienza è stata splendida; inoltre, già quest’anno ho visto in cartellone tantissimi ospiti importanti. Quindi, auguro a questo bellissimo giovane festival davvero il meglio per i prossimi anni, sia come sviluppo che come risonanza internazionale.

I suoi prossimi progetti?

In settembre sarò impegnata in Anna Bolena al LAC di Lugano, diretta dal maestro Diego Fasolis e dal regista Carmelo Rifici; quindi, a fine mese, sarà la volta di Raffa in the sky, opera contemporanea ispirata alla vita artistica di Raffaella Carrà, su musica di Lamberto Curtoni e libretto di Renata Ciaravino e Alberto Mattioli, da un’idea di Francesco Micheli che ne curerà la regia, in scena al Teatro Donizetti di Bergamo nell’ambito di “Bergamo-Brescia Capitale italiana della cultura”. Infine, dal 24 novembre aprirò la stagione lirica 2023-2024 del Teatro La Fenice di Venezia nel nuovo allestimento di Les contes d’Hoffmann, diretta da Antonello Manacorda con la regia di Damiano Michieletto.

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