Stragi italiane: Bava Beccaris e i morti di Milano

Recentemente, il nome di Fiorenzo Bava Beccaris è salito alle cronache perché è a lui intitolata la scuola elementare del parodistico Comune di Bugliano, ma il generale che aveva partecipato alla Guerra di Crimea e a due Guerre di Indipendenza, si è distinto per avere ordinato ai militari di sparare sulla folla che, nei giorni tra il 6 e il 9 maggio 1889, era scesa in piazza a Milano per protestare contro l’aumento del prezzo del pane.

Bava Beccaris proveniva da una antica famiglia nobiliare piemontese, era stato insignito del titolo di Cavaliere dell’ordine militare d’Italia pur essendo stato al comando di una batteria d’artiglieria durante la battaglia di Custoza, una sconfitta per l’esercito piemontese e, alla luce dei fatti, non era probabilmente la persona più adatta per essere nominato regio commissario straordinario per ristabilire l’ordine al momento in cui esplosero i moti.

Il contesto politico italiano, ad appena venti anni dalla presa di Roma, era estremamente particolare. La politica, estera, dei precedenti Governi Crispi, esponente della Sinistra Storica, aveva determinato ostilità con la Francia, rivale nell’espansione coloniale, e il legame con la Germania che portò alla Triplice Alleanza. Ciò ebbe ripercussioni economiche con una guerra doganale con i transalpini e investimenti, specialmente al nord, tedeschi e austriaci. Tra le conseguenze si ebbe un movimento migratorio verso il nord e verso l’estero, con conseguente inurbamento delle aree settentrionali, con conseguenti tensioni sociali, e un calo della popolazione meridionale con perdita di lavoratori nell’agricoltura.

Nel 1889 era Presidente del Consiglio Antonio Starabba Marchese di Rudinì, già sindaco di Palermo, al suo secondo mandato, chiamato da Umberto I dopo il disastro di Adua, e che con le sue scelte contribuì nel porre in essere le condizioni che portarono ai moti non solo di Milano.

I raccolti di grano erano scesi di oltre un milione di tonnellate e la necessaria importazione di grano americano imponeva più alti costi a causa della Guerra ispano-americana e il prezzo del grano a Milano passò da 225 lire la tonnellata a 330 nell’aprile del 1989. Per cercare di arginare i prezzi nel precedente mese di gennaio il Governo aveva abbassato i dazi sull’importazione, ma lo strumento si rivelò insufficiente.

Manifestazioni di piazza dove si chiedeva “pane e lavoro” iniziarono nel sud che aveva già assistito alle rivolte dei Fasci Siciliani nel 1893-94. In città come Bari e Napoli le rivolte furono fermate mentre Firenze rimase controllata dai manifestanti per un giorno intero, ma la situazione andò aggravandosi quando i manifestanti vennero colpiti dalla polizia.

Il 5 maggio venne organizzato uno sciopero contro l’aumento dei prezzi dei generi alimentari e, lo stesso giorno il figlio di Giuseppe Mussi, deputato milanese, fu ucciso dalla polizia nel tentativo di controllare la folla. Il giorno successivo gli operai della Pirelli scioperarono e furono distribuiti volantini di denuncia. Scoppiarono anche a Firenze ea Livorno.

Il governo dichiarò lo stato d’assedio e nominò Bava Beccaris Commissario straordinario; questi portò in città, oltre le sue truppe, anche quelle ferroviarie per sostituire i ferrovieri in sciopero. Le truppe erano principalmente coscritti delle aree rurali e alpine, considerate più affidabili. Con le riserve, Bava Beccaris disponeva di 45.000 uomini.

Il 7 maggio 60.000 persone scioperarono muovendo dai quartieri popolari verso il centro. Bava Beccaris tentò di fermare gli scioperanti e le truppe incontrarono resistenza mentre cercavano di rimuovere le barricate che erano state erette, e furono bombardate da pietre e tegole dai tetti. Alcuni dei manifestanti avevano acquistato fucili. Il generale ordinò di sparare sui manifestanti; fu utilizzata anche l’artiglieria. Secondo il New York Times 300 persone rimasero uccise e oltre mille ferite.

Bava Beccaris, oltre ad attestati di ringraziamento e congratulazioni, venne nominato grand’ufficiale dell’Ordine militare di Savoia «per gli importanti servizi resi allo Stato». Due anni dopo, l’anarchico Gaetano Bresci, assassinò il Re Umberto I ritenendolo responsabile per questa repressione oltre a quelle precedenti in Sicilia.

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