Cento anni fa la Strage di Torino

Tra il 18 ed il 22 di dicembre del 1922 venne perpetrata nel capoluogo piemontese quella che è ancora ricordata come “La strage di Torino” il frutto di una serie di attacchi dei fascisti italiani nei confronti di membri di un movimento operaio locale. In tre aggressioni almeno 11 lavoratori (e forse 24) furono uccisi in una campagna di terrore per fermare e reprimere la resistenza al neonato regime fascista da parte del movimento operaio.

Dopo la marcia su Roma e la nomina di Benito Mussolini a Presidente del Consiglio il 29 ottobre 1922, il movimento operaio torinese continuò a opporre resistenza al fascismo. Tra le forme di protesta e manifestazione del dissenso vi era la distribuzione clandestina del quotidiano comunista torinese L’Ordine Nuovo, diretto da Antonio Gramsci. Erano previste anche forme di organizzazione politica all’interno delle fabbriche oltre alla creazione di organizzazioni paramilitari per dare vita a rivolte popolari contro l’invasione fascista dei luoghi di lavoro.

Un altro fattore importante alla base della strage fu la rivalità tra i vertici paramilitari e quelli politici del locale fascismo. Una volta nominato alla guida del governo Mussolini cercò di contenere i violenti eccessi dello squadrismo locale guidato da Cesare Maria De Vecchi. Dal canto loro i fascisti torinesi erano sempre più irritati dalla tendenza di Mussolini a trovare forme di attesa e non belligeranza con le élite economiche e politiche locali e con i capi di polizia ed anche a cercare di emarginare il leader dello squadrismo torinese e piemontese De Vecchi e il suo braccio destro Piero Brandimarte. La posizione politica sempre più prominente del fascismo a livello nazionale richiedeva una disciplina più severa da parte dei locali membri del partito e dei simpatizzanti per prevenire la disaffezione dei suoi sostenitori più liberali e meno avvezzi alle forme di violenza che avevano caratterizzato la presa del potere.

Tuttavia, si presentò l’occasione per passare all’azione da parte dei fascisti locali e fu l’uccisione di due fascisti, Giuseppe Dresda e Lucio Bazzani, alla Barriera di Nizza, da parte dell’operaio militante comunista Francesco Prato, la notte tra il 17– e il 18 dicembre 1922. L’assassino venne riconosciuto da un tranviere ma riuscì a fuggire, benché ferito a una gamba. Aiutato dai suoi compagni venne fatto espatriare in Unione Sovietica.

Come immediata reazione all’omicidio e forma di vendetta, i fascisti fecero irruzione e incendiarono la Camera del lavoro, la sede del sindacato, e attaccarono sedi club del Partito Socialista Italiano. Seguì la distruzione del quotidiano comunista torinese L’Ordine Nuovo. Alcuni dei redattori furono portati al parco centrale di Torino e minacciati di essere giustiziati dalle squadre fasciste. Successivamente i fascisti radunarono comunisti e sindacalisti in città e ne giustiziarono alcuni in modi raccapriccianti. Pietro Ferrero venne legato e trascinato dietro un camion fino alla sua morte e un’altra vittima venne bastonata a morte. Ufficialmente, undici persone furono uccise e dieci furono gravemente ferite dai fascisti.

Nel 1924 Brandimarte dichiarò al quotidiano Il Popolo di Roma di aver scelto 24 “sovversivi” dalle sue liste e di “averli affidati alle nostre migliori squadre per rendere giustizia. E giustizia fu fatta. Immediatamente dopo i fatti, il 24 dicembre 1922 venne pubblicato un decreto di amnistia firmato dal guardasigilli con il quale si concedeva l’amnistia a chi aveva perseguito delinquenze “per un fine, seppure indirettamente, nazionale” ovvero in difesa “dell’ordine politico-sociale”.

Dei fatti si assunse la responsabilità De Vecchi giudicandoli dolorosi ma necessari per reprimere i comunisti. Altri esponenti fascisti condannarono gli eventi come reazioni eccessive. L’occasione servì a Mussolini per sciogliere e poter ricostituire il fascio torinese.

Nel suo libro Gli anni del manganello Walter Tobagi, vittima del terrorismo rosso, riporta una frase attribuita a Mussolini in merito alla strage: «Come capo del fascismo mi dolgo che non ne abbiano ammazzato di più; come capo del governo debbo ordinare il rilascio dei comunisti arrestati!».

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