Quale futuro per l’Afghanistan?

Conquistare il potere con la violenza è risultato in fin dei conti per i Talebani più facile di quanto ci si potesse aspettare grazie al brusco (e, credo, intempestivo) ritiro delle forze occidentali. Ora comincia per loro un compito più difficile, quello di governare un paese di 38 milioni di abitanti, poverissimo e diviso in etnie e clan che da sempre si sono fatte la guerra.

Il primo problema è farsi accettare almeno dalla maggioranza (visto che i talebani rappresentano una delle etnie, la Pashtun, certo la più importante, ma non l’unica). Il secondo consiste nel rimediare alla gravissima crisi economica in gestazione e in parte già in atto. Il terzo, funzionale rispetto ai precedenti, è ottenere un minimo di conoscimento e legittimazione internazionali, che apra la porta agli aiuti indispensabili per ricostruire l’economia. Ed infine, i vincitori devono, da una parte eliminare o sottomettere gruppi e classi medio o piccolo-borghesi potenzialmente ostili, pur evitando nei limiti del possibile un esodo di cervelli e competenze necessari per gestire il Paese.

Nella loro precedente esperienza di governo, il potere lo esercitarono nel modo più autoritario e oscurantista. Questa volta, cercano di presentarsi con una certa moderazione, ma non è facile credergli, dovranno essere, come ha detto Biden, giudicati dai fatti.

Nell’immediato, una priorità è per i Talebani quella di avere accesso ai 6 miliardi di dollari di riserve depositati in America e bloccati da Washington. È da pensare che gli Stati Uniti chiederanno qualcosa in cambio. Credo che questo qualcosa consisterà soprattutto nell’impegno a controllare il terrorismo. Militari USA hanno fatto capire che non escludono una certa collaborazione con i Talebani per combattere il gruppo ISIS-K autore del sanguinoso attacco all’aeroporto di Kabul. Ma tutto questo è ancora in fieri.

Intanto, la Cina si è fatta avanti, mantenendo aperta l’Ambasciata a Kabul e promettendo appoggio e un portavoce talebano ha dichiarato, nell’intervista concessa a La Repubblica, che Pechino sarà il partner principale. Era da aspettarselo: la Cina pronta a infilarsi in qualsiasi vuoto lasciato dall’Occidente, in Asia come in Africa e America Latina.

Altro appoggio Kabul sta ricevendo dal Qatar, un Paese ricchissimo di petrolio e che fa da sempre un doppio gioco: ospita basi americane e adotta standard di vita occidentali, ma finanzia e sostiene regimi e gruppi islamici estremisti, in un lungo duello con l’Arabia Saudita.

Poi è da vedere che ruolo svolgerà la Turchia del sempre imprevedibile Erdogan.

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