Pensioni, fatti e misfatti

«Pochi sanno che il primo sistema pensionistico fu introdotto nel 1813 con ritenute del 2% sugli stipendi degli impiegati statali a San Leucio, in provincia di Caserta nell’epoca in cui era Re delle Due Sicilie (all’epoca ancora Regno di Napoli) Ferdinando I di Borbone. Le pensioni sono sempre state un soggetto importante per tutti i Governi, per questo, dopo aver sentito le sciocchezze più sciocche, mi fa piacere raccontarvi a modo mio le pensioni in Italia.

In tempi più vicini, gli anni settanta sono stati forse determinanti su questo tema: per la prima volta il mondo intero si confrontò con la crisi energetica che portò uno sconvolgimento economico globale; il Governo dell’epoca si trovò a dover spendere molto di più per poter venire incontro alle fasce più colpite, i disoccupati, le imprese. Negli anni ottanta finalmente ci si rese conto che bisognava riequilibrare il tutto, che le spese erano troppo lievitate, figlie anche di comportamenti clientelari legati al voto, alle lobby sommerse o meno, al proliferare dell’associazionismo; purtroppo si trovò soluzione per ripianare questo problema inasprendo la pressione fiscale.

Già allora la parola taglio era sconosciuta; non si poteva scontentare nessuno e allora si scontentava tutti. E così, raffica di aumenti. Ci fu anche chi pensò a un’evoluzione del sistema pensionistico. Da noi il sistema pensionistico pubblico (INPS, INPDAP, ecc.) è strutturato secondo il criterio della ripartizione. Significa in soldoni che i contributi che i lavoratori e le aziende versano agli enti di previdenza vengono utilizzati per pagare le pensioni di coloro che hanno lasciato l’attività lavorativa. Per far fronte al pagamento delle pensioni future, dunque, non è previsto alcun accumulo di riserve. E’ evidente che in un sistema così organizzato, il flusso delle entrate (rappresentato dai contributi) deve essere in equilibrio con l’ammontare delle uscite (le pensioni pagate).

Questo in due parole. Poi accade che due parametri si sconvolgono: primo le persone campano di più, l’età media si allunga; secondo, la crisi economica globale comincia a dare segni di vita anzi di morte. E a questo punto le menti migliori del Paese hanno cominciato a fare riforme. Uno dei parti più assurdi e controversi furono la Baby pensioni del Governo di Mariano Rumor con un DPR (decreto del presidente della Repubblica, all’epoca Giovanni Leone) destinato ai dipendenti pubblici che avessero lavorato per 14 anni, sei mesi e un giorno, se donne sposate e con figli; meno generose (si fa per dire) le condizioni per gli altri, ossia 20 anni per gli altri statali, 25 anni per i dipendenti degli enti locali. Ecco, questi baby pensionati che adesso sono (fortuna loro) ancora vivi e longevi, li paghiamo noi, da quarant’anni. Poi arriva il caro professor Amato e innalza l’età pensionabile; le retribuzioni prese a riferimento per determinare l’importo della pensione vengono rivalutate all’1 per cento, che è una percentuale nettamente inferiore a quella applicata prima della riforma; poi arriva il Sior Dini che passa dal sistema retributivo a quello contributivo, cioè l’importo della pensione nel primo caso viene dedotto da quanto viene preso dallo stipendio del lavoratore, nel secondo caso invece si deduce da quanto viene versato dal lavoratore stesso.

Ma ogni decreto decreta un prima e un dopo: chi rientra e chi no. Il caro Maroni invece da incentivi a chi ritarda la pensione. Il caro Prodi invece fissa le quote per l’anzianità. E via dicendo, stendendo un velo pietoso sulla cara professoressa Fornero.

Ma il succo di questo piccolo ripassino è uno solo: non ci sono i soldi, li hanno già mangiati quasi tutti. E quindi, l’unica riforma possibile è mistica, oppure superstiziosa. Bisogna raccomandarsi a Dio. Mi fa rabbia il pietismo dilagante del “campo con mille euro di pensione”. E domando: ma lei quanto ha versato per avere questa pensione? Caro signore, non mi fa pena lei, forse inconsapevole, mi fanno pena certi giornalisti; è chiaro che si raccoglie quello che si è versato facendo poi riferimento ai vari decreti dei vari Governi. Così come trovo immorale che ci siano pensionati d’oro, che percepiscono una pensione senza mai aver versato un soldo per averla.

Ecco, in Italia è tutto storto e distorto e spesso anzi spessissimo si è complicato un sistema all’apparenza elementare. La grande mediocrità ha sempre prodotto figli menomati e a questo punto credo che bisognerebbe ritornare all’insegnamento del lungimirante Borbone. E lavorare duro, magari la terra anche se è davvero bassa, perché ormai la pensione non è più un diritto, ma solo una possibile sorpresa.»

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