Jenny Servino e il Museo della Musica

E’ responsabile del Museo internazionale e biblioteca della musica dell’Istituzione Bologna Musei. Laurea in Scienze Politiche (indirizzo politico-internazionale), Università degli Studi La Sapienza di Roma. Master Universitario di II livello in Management dei Beni e delle Istituzioni Culturali, MIP Graduate School of Business Politecnico di Milano. Stiamo parlando di Jenny Servino alla quale abbiamo rivolto alcune domande.

Dott.ssa Servino, una domanda che potrebbe apparire banale, cosa è il Museo della Musica?

In effetti la domanda non è banale, innanzitutto il nome completo è Museo internazionale e biblioteca della musica di Bologna, e questo già apre il discorso. A Bologna esistono tre importanti collezioni di beni musicali di proprietà del Comune di Bologna: la collezione libraria che è quella più corposa e rinomata con oltre 100.000 volumi, la quadreria, entrambe ereditate da padre Martini, e la collezione di strumenti musicali. Padre Martini era un frate francescano, compositore, musicista e teorico della musica vissuto nel ‘700. Dotato di una vasta erudizione, era annoverato tra i maestri di Wolfgang Amadeus Mozart, in tanti venivano a Bologna per studiare con lui. Martini iniziò a collezionare testi e successivamente dipinti che poi, dopo varie peripezie, sono arrivati nelle disponibilità del Comune di Bologna. Magari non tutti lo sanno, ma qualsiasi volto di artista musicale si cerchi, lo si trova qui a Bologna in Museo. Abbiamo ad esempio l’unico ritratto presunto di Vivaldi, spesso lo sanno gli studiosi che vengono in biblioteca da tutto il mondo, ma non il bolognese che abita qui vicino.

La collezione di strumenti musicali, parliamo di pezzi antichi?

Esatto, si tratta di pezzi realizzati dal XVI secolo in poi, in buona parte pezzi unici e particolari, oggetto di interesse da parte di studiosi ed esperti di tutto il mondo. Ultimamente abbiamo avuto la visita di un esperto francese di serpentoni, Michel Godard, che è venuto per compiere un’indagine endoscopica su questo strumento a fiato che è esposto in sala 5.

Spesso i musei non riescono ad esporre tutta la collezione in loro possesso, voi che situazione avete? Avete tutto in mostra? Attuate una rotazione?

No, questo è impossibile, purtroppo non riusciamo a esporre tutto. In realtà abbiamo in mostra solo una piccola parte della collezione disponibile, non facciamo una rotazione perché seguiamo una logica di trasversalità che unisce testi, strumenti e immagini. Cambiare solo uno di questi aspetti romperebbe il percorso di logicità che vogliamo seguire e che forma un racconto coerente all’interno del percorso espositivo. Provvediamo però per motivi di conservazione dei volumi ad effettuare i cambi di pagina dei volumi esposti. Una parte degli strumenti si trova ancora presso il Museo Civico Medievale e siamo in attesa di poterli accogliere qui da noi, quello che non è esposto è comunque studiabile e consultabile in forma digitale. Abbiamo il catalogo online completo fino al 1901, chiunque sia interessato può visionarlo e decidere se venire poi a consultare in sede o richiedere le copie digitali. Alcuni pezzi particolarmente rari e delicati sono visionabili solo in casi particolari in cui sia necessario esaminare la filigrana ad esempio.

Un’altra particolarità del vostro museo è che non è solo una rappresentazione statica, ma un’istituzione che vive di eventi.

Esatto, infatti proprio questa sera inauguriamo la nuova edizione del festival di musiche inconsuete s(N)odi. Fra le varie anime del museo l’attività live ha per noi un grande rilievo, anche perché la musica non solo si studia, ma soprattutto si suona e si ascolta.

In questi tempi di crisi per le istituzioni artistiche e museali, essere all’interno della rete del Comune di Bologna vi aiuta nella gestione?

Credo ci siano pro e contro. È un vantaggio dal punto di vista economico essere inseriti in un sistema di rete museale, d’altro canto come istituzione pubblica siamo sottoposti a una serie di controlli e procedimenti burocratici a cui un soggetto privato è meno vincolato, potendo contare su maggiori margini di autonomia. La musica è poi considerata la Cenerentola delle arti, ricordo che quando organizzai i primi concerti in museo mi veniva detto: “Ma i musicisti non vorranno essere pagati, vero?”. Spesso si pensa che chi suona lo fa per hobby e non per professione. In quest’anno segnato dall’epidemia del Covid-19 poi, in particolare, anche organizzare gli 8 concerti di s(N)odi, non è stato semplice da ideare e portare a termine.

Questo 2020 verrà ricordato come l’anno del Coronavirus, come avete affrontato la crisi?

Noi abbiamo riaperto subito dal 19 maggio con uno sforzo enorme, dopo avere fatto analisi, studiato tutti i decreti e le normative pubblicate, le varie disposizioni emesse. Ho voluto assolutamente aprire appena possibile, anche a fronte di telefonate ricevute da tante persone che ne facevano richiesta. Abbiamo dovuto ridurre i posti a sedere nei concerti da 100 a 48 e limitare i gruppi sul palco a 4 elementi per rientrare nel disposto legislativo. Purtroppo abbiamo dovuto, a malincuore, ridurre anche gli orari di apertura a causa delle perdite di introiti dovuti all’emergenza COVID e della conseguente flessione del numero dei visitatori dovuta alla mancata presenza dei turisti. Speriamo che la rassegna dedicata al ‘900 che faremo in autunno possa rilanciare l’attività, così come la rassegna #wunderkammer – il museo delle meraviglie, che ha al suo interno tutta una serie di eventi dedicati alle collezioni museali. Abbiamo inoltre intenzione di rilanciare i laboratori che abbiamo in essere con le scuole, a cui corrisponde uno dei nostri maggiori impegni. Parliamo infatti di un’offerta educativa articolata che in media coinvolge circa 16.000 bambini all’anno e, in alcuni casi, anche i rispettivi genitori.

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