Europa, senso di appartenenza e di libertà

Nel corso di questa estate turbolenta, in cui si è parlato troppo spesso e male dell’Unione Europea e dell’idea di Europa in generale, ritengo doveroso – così come già fatto in altri miei scritti – formulare una riflessione sull’importanza delle istituzioni unionali (o, come dicono molti ancora oggi, “comunitarie”).

Questa riflessione non è assolutamente di natura politica ma, anzi, prettamente filosofica. Non intendiamo parlare di MES né di recovery fund, né della Merkel né di Macron. Vorremmo invece parlare, prendendo spunto da un discorso di un politico (forse molto famoso solo per chi professa idee liberali) che ho ascoltato con piacere e di recente su un social media.

Partendo dalle origini storiche e mitologiche di Europa, la divinità greca, questo politico ha in sintesi sottolineato come il vero nemico dell’UE – come la intendiamo oggi – si identifichi nella sete di potere e nelle manie di protagonismo degli Stati nazionali (sì, anche di Francia e Germania, ma non siamo da meno). Ritengo che non sia un crimine, per uno Stato sovrano, volersi affermare internazionalmente in campo economico, politico o militare. Anzi, tutt’altro: sarebbe opportuno che, al di là delle ideologie, ogni Stato cerchi di portare avanti le proprie idee fondative e di dare il meglio in ogni settore della politica estera.

Quando si parla di Unione Europea, sarebbe meglio che ciascuno Stato concentrasse i propri sforzi per farla funzionare al meglio. Sarebbe meglio che ciascun governo mettesse in comune tutte le proprie buone prassi, le proprie virtù, i propri punti di forza. L’Unione Europea non è solo spendita di soldi del contribuente. L’Unione Europea è progetti, diritti umani, stato di diritto, unità nella diversità, alleanze strategiche ed economiche. L’Unione Europea è anzitutto libertà: rileggete Nizza e Lisbona,  guardiamo lo statuto di Europol e delle altre agenzie specializzate in tutti i più disparati settori di intervento dell’Unione.

Non limitiamoci ad ascoltare qualche invettiva o qualche discorso antieuropeista in TV: anche i giornali più faziosi, o i meno tecnici, tra le righe devono necessariamente citare i riferimenti alle fonti del diritto comunitario. Se andiamo a spulciare queste strane “leggi”, con animo scevro da pregiudizi, capiremo molte più cose di quante potremmo comprendere limitandoci ad arrabbiarci quotidianamente davanti alla TV o alla radio.

Capiremo, per esempio, che – dietro la sicurezza interna ed esterna, economica, alimentare etc. in chiave UE – altro non si cela che un desiderio di libertà. È l’Europa di Spinelli, di Schumann, di De Gasperi, di Adenauer e dello stesso Churchill.

Certo, noi Italiani, che in questa Europa siamo sempre alla ribalta –  e, sfortunatamente, non sempre per il nostro patrimonio enogastronomico e culturale –  ci arrabbiamo quando sentiamo  che qualche paese del Nord non vuole saperne di far alloggiare i migranti che sbarcano sulle nostre coste. Altrettanto, ci arrabbiamo quando leggiamo che altri paesi del Centro-Nord ci fanno i conti in tasca e non vorrebbero aiutarci più di tanto ad uscire dall’ennesima crisi che, come altri, stiamo vivendo.

La storia recente e passata, tuttavia, insegna che i fanatismi nazionali o i personalismi di alcuni politici molto famosi su scala internazionale, alla fine, si concludono in bolle di sapone o, comunque, alla lunga producono effetti inferiori rispetto a quelli originariamente prefissati.

È giusto arrabbiarsi, sicuramente. Ma la soluzione non è predicare l’Italexit o, peggio, inneggiare al voluto mancato rispetto delle normative e delle disposizioni UE. Ci si può arrabbiare, ma la rabbia deve servire a dirigere le nostre azioni verso il miglioramento di questo immenso motore ricco di ingranaggi: non ha senso rottamare una Ferrari se non la si sa guidare. Meglio sarebbe imparare più approfonditamente il funzionamento del motore e, magari, prendere nuovamente lezioni di guida.

Se siamo in Europa, sarebbe meglio creare una classe dirigente che in questa Europa ci voglia entrare e ci voglia stare, la voglia conoscere e migliorare. Anche facendola funzionare secondo gli schemi di eccellenza della nostra amministrazione che – checché se ne dica – vantano tradizioni di cultura amministrativa e burocratica secolari e di tutto rispetto.

Amiamo l’Europa, non abbandoniamola, cerchiamo di farci valere secondo le sue regole. Sentiamoci sicuramente italiani, ma con la stessa fierezza, cerchiamo di sentirci anche europei. Di destra o di sinistra non importa. Ne varrà la pena.

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