Trentacinque anni di Schengen

14 giugno 1985. Sembra ieri – cantava Edoardo Bennato – quando venne firmato l’accordo di Schengen; il primo di una serie di Trattati che sono ancora in vigore e disciplinano la circolazione e i rapporti tra gli Stati che, successivamente, siglarono la Convenzione di Schengen.

La colonna sonora era We are the world, Michail Gorbačëv succedeva a Konstantin Černenko; Ronald Reagan e Margareth Thatcher guidavano Stati Uniti e Gran Bretagna. In Italia il Verona vinceva il campionato e il Bettino Craxi firmava la revisione dei Patti Lateranensi; a ottobre il sequestro dell’Achille Lauro, prima grana della appena iniziata presidenza di Francesco Cossiga.

Tra i fatti di quell’anno forse passò inosservata la firma il 14 giugno, in una allora sconosciuta città del Lussemburgo di un accordo tra i paesi di Benelux, Germania Occidentale e Francia, degli Accordi di Schengen. Era il primo passo concreto verso un’Europa unita, senza confini. Iniziava la creazione di uno spazio comune senza confini. L’Italia, pur tra i fondatori del progetto europeo, non partecipò a quegli accordi. Chissà in quanti, se non gli addetti ai lavori e i più attenti osservatori, si resero conto della valenza anche simbolica di quell’accordo. Schengen è un comune che, oggi, supera di poco i quattromila abitanti, e si trova in una zona che fu teatro di battaglie: quella delle Frontiere del 1914 e quella di Nancy del 1944.

Quanto accaduto a Schengen era probabilmente quello che si auspicava il Manifesto di Ventotente, un progetto che perseguiva un’unione federale dell’Europa volta anche, se non come primo scopo, a quello di un abbattimento dei confini. Gli autori del Manifesto volevano che si evitasse il ripetersi di quanto stava accadendo ed era già accaduto nel 1914. Addirittura, secondo alcuni, la Seconda Guerra Mondiale è stata solo una prosecuzione della prima, in quanto alcuni dei presupposti non erano certo venuti meno. Un’Europa unita ben poteva essere quindi una soluzione ed un’opportunità allo stesso tempo.

Almeno uno degli scopi che si proponeva questo progetto è stato ottenuto: l’Europa occidentale dal 1945 non ha più visto guerre. Un risultato oggettivamente non da poco se si pensa che il vecchio continente è stato campo di battaglia incessantemente dall’impero romano in poi.

Un progetto ambizioso quello di un’Europa Unita, anche se sotto forma di federazione; un processo che non poteva essere veloce e, più che altro, di non semplice comprensione da parte dei più. Forse ancora nel 1957, quando venne sottoscritto il Trattato di Roma, era troppo vivo il ricordo della Guerra e, vedere allo stesso tavolo rappresentanti di paesi che pochi anni prima erano dalla parte opposta della trincea, non fu preso da molti come un qualcosa di positivo. Difficile dimenticare eventi ancora freschi nella memoria.

Gli eventi successivi sono stati, allo stesso modo, vissuti da qualcuno con entusiasmo perché credeva in un’Europa senza barriere mentre altri non sono riusciti a liberarsi da istanze nazionaliste. In tutto ciò l’Europa, come istituzione e organizzazione, ha fatto quanto di peggio potesse per dare l’immagine di ciò che non doveva essere: un ammasso di burocrazia che non riesce a farsi capire e che in molti considerano un ostacolo alle potenzialità dei singoli Stati. Lo slogan “l’Europa lo chiede” è stato spesso usato per dare una connotazione negativa ad un’unione che nasceva con ben altri scopi.

Non ultima la Brexit; l’uscita non certo indolore del Regno Unito, oltre ad aver dato una forte spallata al progetto europeo, ha ridato fiato a separatismi e sovranismi che oltre ad essere veri e propri anacronismi, possono avere effetti devastanti in un villaggio globale dove economie e sistemi sono sempre più interconnessi. L’esperienza del Covid dovrebbe insegnare qualcosa. Esistono contesti in cui non è possibile che uno Stato, per quanto grande o importante, possa affrontare da solo un’emergenza forse anche meno importante della pandemia. Non si può prescindere dalle organizzazioni e le strutture sovranazionali. L’Europa deve essere rivista, migliorata, implementata; ma non può e non deve essere cancellata.

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