Il dopo Covid 19, tra sicurezza e consapevolezza online

Inutile negarlo, l’emergenza Covid 19 e la quarantena porteranno cambiamenti su molti aspetti della quotidianità. L’hanno già fatto e chissà se ce ne rendiamo conto. Forse se ne è accorto di più chi lavora in smart working da casa e fa la pausa caffè in cucina con moglie e figli, invece che con i colleghi al bar. Ma probabilmente non si è reso conto di come questo diverso modo di lavorare lo espone a maggiori rischi. Ci siamo chiesti se questi lavoratori da casa sono in grado di proteggere i loro computer? Sono consapevoli che possono accedere ad una rete aziendale o di una pubblica amministrazione dallo stesso strumento con cui la sera chattano on line o guardano siti porno? Il comune di Marentino, in provincia di Torino, ha subito un attacco informatico ed ha perso i suoi archivi: pagherà il ricatto degli hacker che avrebbero richiesto centomila euro? E se accadesse ai comuni di Roma o Milano? La domanda se i pirati informatici abbiano bucato la rete del comune o abbiano approfittato di una leggerezza di chi lavorava da casa, forse resterà senza risposta.

Maggiori acquisti on line, anche la spesa quotidiana; probabilità di aumento delle lezioni scolastiche, corsi, convegni e formazione su piattaforme. Anche le attività sportive potrebbero essere toccate con la possibilità di lezioni in video. Esattamente il contrario di ciò a cui eravamo abituati, ma è inevitabile e, come ne dobbiamo prendere atto, dobbiamo anche essere consapevoli dell’aumento dei rischi per la sicurezza nostra e dei dati, considerate le maggiori possibilità che noi stessi diamo ai pirati informatici di entrare nel nostro quotidiano. Diminuzione della mobilità fisica e aumento delle interazioni virtuali. Chiediamo per primi a noi stessi se il nostro inseparabile cellulare è protetto, se facciamo un regolare backup dei dati, se l’antivirus del computer è efficace e aggiornato. E quel portatile lo potrebbero usare anche i figli a casa.

Purtroppo in tutto ciò deve essere considerato, e ne abbiamo prove più che evidenti, nel nostro paese la cultura della protezione dei dati è un concetto in generale praticamente sconosciuto e argomento che gode di scarsamente considerazione specialmente sia nel pubblico sia nel privato. Quanto accaduto con il sito dell’INPS ne è uno dei sintomi più evidenti. Ma anche quanto avvenuto alla banca dati di Italiaonline, bucata da un semplice computer portatile è stato un segnale sottovalutato. Non osiamo chiederci quante aziende si siano poi adeguate compiutamente al GDPR; troviamo ancora siti che non solo non sono in regola con le cookie policy, ma che hanno ancora informative privacy a dir poco generiche e con i riferimenti a norme abrogate del D. Lgs. 196/2003.

In ogni caso, possiamo dire, il problema parte dal basso, vale a dire la leggerezza e l’incoscienza con cui tutti noi ogni giorno regaliamo alla rete le nostre informazioni, i nostri dati, la geolocalizzazione delle nostre posizioni, la pizza che abbiamo mangiato e il nome degli amici con cui sedevamo a tavola. La presenza sui social durante il periodo di emergenza è un altro dato di fatto difficilmente contestabile. Quante volte, più o meno inavvertitamente, con un dito o con il mouse, diciamo un sì per proseguire la navigazione e non ci rendiamo conto che stiamo accettando forme di trattamento dati, profilazione, cessione e trasferimento dati a generiche e fantomatiche “aziende partner”? Con quel “sì”, l’inconsapevole navigante della rete, dichiara di avere “letto, compreso e accettato, le condizioni di contratto e trattamento dati eccetera, eccetera, eccetera.”  Un’assunzione di responsabilità non da poco.

In questo contesto di assoluta mancanza di protezione del dato, scarsa sicurezza, saremo sempre più connessi. Una volta nelle scuole si insegnava (?) l’educazione civica. Oggi dovremmo tutti noi studiare l’educazione on line e crearci una cultura di protezione dei dati.

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