Le Primarie Dem in USA

Le prime Primarie democratiche hanno dato la vittoria al candidato della sinistra, Bernie Sanders, con Joe Biden secondo ma distanziato. Si è trattato però finora di “caucus” in Stati minori (Yowa, New Hampshire e Nevada) con una ridotta percentuale di delegati alla “Convention”. La decisione ricadrà sui grandi Stati, Florida, Ohio, California, New York, per cui il vantaggio di Sanders, per quanto indicativo di una tendenza, non è certo sufficiente a garantirgli la “nomination”.

Più importanti saranno le Primarie del 3 marzo, che riguardano gli Stati più popolosi. Se Sanders si confermasse vincitore, avrebbe la nomination quasi certamente in tasca. Ma le incognite sono almeno due: una possibile rimonta di Joe Biden e l’irruzione di Mike Bloomberg, che non ha, deliberatamente, partecipato alle precedenti primarie, concentrando il suo sforzo sui grandi Stati. Bloomberg è stato dal 2002 al 2013 sindaco di New York (popolare ma anche discusso per certe iniziative considerate razziste e antifemministe). La sua forza sta nella sua favolosa ricchezza (calcolata attorno a 64 miliardi di dollari) e la sua decisione di spendere almeno un miliardo nella campagna, ma dicendosi disposto a raddoppiare. Ciò gli offre una possibilità assai superiore agli altri contendenti democratici, e in futuro anche a Trump, di condurre una campagna pubblicitaria a tutto campo: annunci che stanno inondando le TV del Paese, generose donazioni a entità di ogni tipo, sostegno a candidati democratici ad altri posti, che gli hanno valso finora l’appoggio (“endorsement”) di centinaia di sindaci e parlamentari.

Sarà sufficiente tutto questo? È certo che il denaro svolge un ruolo considerevole nelle elezioni americane, ma la questione è se alla fine basta per convincere gli elettori (in parole chiare: a comprare l’elezione). I politologhi ne dibattono e ovviamente non c’è una risposta attendibile, almeno fino ai risultati del 3 marzo. Il fatto è che nelle elezioni in USA, come altrove, giocano molti fattori imponderabili: uno di essi, che potrebbe favorire Bloomberg, è la eventuale percezione che egli sia il solo in grado di battere Trump in novembre. Sono, in definitiva, due persone dello stesso temperamento e formazione, ambedue capaci di lottare anche con i colpi più bassi e privi di scrupoli.

Difficile che Bloomberg possa convincere la base principale di Bernie Sanders (un democratico-socialista), cioè le minoranze, specie quelle di colore. Ma difficile anche che Sanders possa convincere il centro moderato e la destra del partito, anche per la convinzione diffusa che non sarebbe in grado di battere Trump con il suo programma che prevede un enorme incremento della spesa statale. Negli ultimi tempi, è apparsa la notizia che l’intelligence americana lo aveva avvertito che i russi interferivano nella campagna a suo favore. Parrebbe illogico,  considerata la parallela accusa a Putin di appoggio a Trump, ma a guardar bene non è tanto strano. Appoggiare un candidato incapace di battere Trump in definitiva aiuta quest’ultimo (il quale infatti appare felice del successo di Sanders). E, se esistesse la remota possibilità di una vittoria di Sanders in novembre, un Presidente di sinistra, probabilmente antimilitarista, non dispiacerebbe a Mosca.

Insomma, tutto il mondo resta sospeso ai risultati del 3 marzo, e poi a quelli di novembre, perché purtroppo le sue sorti dipendendo in gran parte da chi governerà gli Stati Uniti nei prossimi quattro anni, specie con un’Europa incapace di trovare neppure la solidarietà necessaria a mettersi d’accordo sul bilancio 2021-2027, come emerso dall’ultimo vertice di Bruxelles.

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