Fine pena mai?

Le classiche frasi fatte che si sentono dire (e che spesso diciamo) di fronte ad un crimine efferato, quali in galera e buttare via la chiave, o ci vorrebbe la pena di morte, sono sicuramente d’effetto, perfetti come slogan elettorale di sicuro appeal ma, se ne prenda doverosamente atto, sono contrarie prima di tutto all’articolo 27 della Costituzione che, espressamente, stabilisce il fine rieducativo della pena e il reinserimento del reo che, non dimentichiamolo, è presunto innocente fino ad una sentenza passata in giudicato.

Chi ce lo ha ricordato in tempi recenti, con buona pace del nostro ministro della Giustizia Bonafede, che ancora una volta ha dimenticato di essere un avvocato, quindi difensore della legalità, è la Corte di Giustizia Europea che ha sancito come il principio “fine pena mai”, non possa trovare applicazione. Il casus belli, se così lo vogliamo definire, è l’ergastolo ostativo, vale a dire quella sanzione estrema, non essendo ammessa la pena di morte, che impedisce le più normali concessioni in favore di detenuti quali, ad esempio, la concessione di permessi e la possibilità di accedere pienamente ad un percorso riabilitativo se non si abbia una piena collaborazione.

L’ergastolo ostativo è figlio di una stagione delicata, quale quella degli attentati ai giudici Falcone e Borsellino, e mira a colpire organizzazioni criminali veri e propri corpi autonomi all’interno di uno Stato, corpi che, oltretutto, si diramano ben oltre il territorio nazionale. Fenomeni sicuramente da reprimere e punire duramente. Ma i principi che nascono dall’antifascismo che è base della Costituzione del 1948, che ritroviamo tra quelli posti a fondamento dell’Unione Europea, e in ogni caso sono contenuti nelle carte basilari dei diritti umani, non consentono trattamenti inumani, degradanti, ovvero che non rispettino la dignità umana e, non ultimo, impediscano un percorso di riabilitazione e reinserimento. Un grande passo avanti addirittura rispetto a Cesare Beccaria che, in casi estremi, non si opponeva alla pena di morte.

Niente pene inumane, degradanti, trattamenti da regimi dittatoriali, morte o tortura. Del resto non si sono indignati i più quando hanno preso coscienza di quanto avveniva in alcuni carceri americani nei confronti di terroristi arrestati? Giusta e legittima generale indignazione; a meno che non fosse una presa di posizione ideologica contro una bandiera. E fine pena mai, è una sanzione inaccettabile.

La parte difficile è farlo capire peraltro non ai facili destinatari di slogan elettorali che probabilmente, non hanno intenzione di capire, ma alle vittime, nelle quali il senso del perdono non è sentimento frequente; ai loro familiari; a chi viene toccato da crimini particolarmente odiosi quali la pedofilia. Ma esistono principi di legalità e diritti umani oltre i quali non è possibile andare. Una puntualizzazione: la CEDU, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, non ha né ordinato di liberare mafiosi e stragisti, né di concedere loro benefici. Ha puntualizzato come il legislatore italiano debba intervenire su una normativa che si pone in antitesi con diritti umani basilari e che, aggiungiamo, va contro un principio costituzionale.

Ovvie le prese di posizione da parte di opposti schieramenti; se da un lato i magistrati in prima fila contro le organizzazioni criminali temono una vanificazione del loro operato, le associazioni a tutela dei diritti umani esultano. Ma, come ha acutamente notato Cesare Mirabelli, già presidente della Corte Costituzionale, dovevamo aspettarcelo. E sono probabilmente queste la parole che più dovrebbero far riflettere.

Si tratta infatti dell’ennesimo richiamo ad un legislatore che, mai come in quest’ultimo periodo, si rivela completamente assente e non attento su argomenti decisamente più importanti rispetto a quelli populistici cui si dedica ma che hanno per l’elettorato maggiore attrattiva che non quelli più delicati come la giustizia e l’economia, quelli relativi a riforme incisive che potrebbero andare a risolvere problemi strutturali ben più gravi che non il numero dei parlamentari.

Non dimentichiamo inoltre che sull’argomento è chiamata a decidere anche la Corte Costituzionale che, come nel recente caso Cappato, ben potrebbe andare a svolgere un’attività non istituzionalmente propria e vicariare l’inerzia del Parlamento. Ed anche ciò appare decisamente non conforme ai principi costituzionali. Ma di tutto ciò un elettorato distratto e deviato da proclami elettorali, affermazioni populiste e demagogiche, sembra interessare poco. Perlomeno fino a quando non dovrà toccarlo con mano.

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